domenica 30 settembre 2012

Sera

 
 
Corre il tempo
Attraversa il giorno
E viene sera!


Una strana domenica

Quell’estate era particolarmente  calda e mentre nelle giornate normali il tempo comunque trascorreva grazie alle solite quotidiane attività, durante le domeniche dominante era la noia perché le ore  sembravano  interminabili e la giornata durava una infinità.
Inoltre il caldo accentuava ulteriormente l’inedia a tal punto che molto spesso una sana fetta di anguria ghiacciata ardentemente desiderata, ma voracemente consumata riacutizzava l’idea di apatia che ci prendeva.
E così, come tutte le domeniche, noi vitelloni adolescenti di paese, terminata la messa delle 11,30, ci recavamo straccamente nella villa comunale dove si svolgeva il rito del primo approccio.
Era il periodo in cui una ragazza non usciva mai da solo per non essere additata dalle malelingue.
Le ragazze venivano in villa per il consueto passeggio domenicale post-messa e pre-pranzo.
Erano sempre o in compagnia delle amichette, o scortavano il fratellino piccolo oppure un qualsiasi nipotino. La realtà è anche le ragazze attraversavano il periodo del “mostrarsi” agli occhi predatori di noi “maschietti”. Sinceramente non ho mai capito chi fosse il predatore e chi la preda.
Le ragazze, molto più sveglie di noi, lanciandoci languide occhiate, ci ordinavano di sceglierle, mentre erano esse stesse a sceglierci.
E noi ci siamo sempre illusi di essere  “i maschi che conquistano”!
La villa comunale aveva un bellissimo viale centrale alberato delimitato per tutta la sua lunghezza da una serie di panchine che all’epoca erano metalliche. Il viale aveva di fatto tre corsie. Nella centrale passeggiavano di solito le ragazze “libere” . Nelle corsie laterali, quelle più prossime alle panchine, passeggiavano invece le ragazze già “in parola”, quelle impegnate, o addirittura quelle già accoppiate tutte comunque mai da sole.
Anche io, pur essendo all’epoca un seminarista, partecipavo d’estate a questo strano, ma bellissimo cerimoniale. Avevo anche ricevuto scambi di sguardi ed una “quasi mezza promessa d’impegno”  da una ragazza che mi piaceva molto che però mi confidò che a breve avrebbe dovuto trasferirsi a Milano. E così restai sedotto e abbandonato!
Una di questa calde domeniche estive, mentre aspettavamo l’arrivo delle “promesse”, stavamo pigramente appoggiati al muretto vicino l’entrata della villa.
Improvvisamente volgendo lo sguardo a sinistra verso la via Gianbattista Vico, dove abitavo, vidi in lontananza un tale che celermente camminava con una stranissima postura. In pratica teneva entrambe le mani appoggiate ai fianchi all’altezza della cintura formando un ampio arco con le braccia. Istintivamente sgomitai il compagno al mio fianco e gli dissi: “Guarda, guarda quello come cammina?!?!” I miei amici si girarono ed uno mi rispose: “ E allora cosa c’è di strano? Probabilmente ha dolore ai fianchi e se li comprime”. Un altro rispose “Ma va!!! Non vedi che non ha la cintura ai pantaloni! Evidentemente gli cadono e se li tiene su con le mani”. “Secondo me – dissi – c’è qualcos’altro scommettiamo?!?” Mentre eravamo presi in queste filosofiche argomentazioni, il tale era giunto nelle nostre vicinanze al che dissi ai miei amici “Beh sentite vado a chiederglielo”. Mi avvicinai timidamente e ponendo davanti fermai i passi del tale ed in perfetto dialetto sampaolese gli chiesi: “ Combà, scus…ma p’cchè cammiìn ‘ccuscì ch’i mèn  e fiàngh?!?”
(Signore scusi, ma perché cammina in questo modo con le mai sui fianchi).
Il signore mi guardò con uno sguardo tra l’adirato, l’assente e l’inebetito. Poi chinò lo sguardo verso i fianchi e sbotto urlando: “ Oh càzz….m’hànn fr’chèt i m’lùn”  ( Perbacco, mi hanno rubato le angurie!)
 
 
Villa comunale oggi
Villa comunale ieri


....e quì ci si cercava un po' di intimità

Professione Politico - Una proposta provocatoria...ma anche no


In questi giorni, dopo lo scandalo dei rimborsi allegri ai consiglieri regionali del Lazio e non solo, sento più politici indignati prendere le distanze dall’accaduto che politi impegnati a far politica.

Come al solito nel nostro paese tutti sembrano all’oscuro di cose che sono all’evidenza. Tanto che mi sorge un dubbio: Se tutti lo sanno e nessuno denuncia, questo significa si è conniventi. Se invece si è all’oscuro realmente, questo significa omissione di controllo.

In entrambi i casi la classe politica è colpevole. Oggi tutti si stracciano le vesti! Persino chi ha elargito “bonifici infruttiferi”  a cani e porci (mi perdonino gli animali per l’offensivo paragone) oggi esclama indignato: Basta con questi professionisti della politica!

PROFESSIONISTI??? – Vogliamo scherzare spero!!! Nel mondo del lavoro il “professionista” è un individuo competente , serio, capace e moralmente ineccepibile. Almeno questo un tempo era il significato e l’accezione del termine. Una persona che dopo anni di studio intraprendeva una professione ed in questa esprimeva la propria eccellenza. Qualcuno ha il coraggio di dire che i politici attuali si possano identificare con queste caratteristiche?

Ed allora ecco una proposta provocatoria …ma anche no!

Istituiamo un corso universitario - non breve -  di “Politica” a cui si può accedere dopo le Scuole superiori.

Tra le discipline da studiare sicuramente Storia, Filosofia, Ecologia ed Ambiente, Economia, Etica, Finanza Pubblica, Diritto Europeo ed altro che intelletti più fini del mio possono concepire. Il corso potrebbe durare un quinquennio alla fine del quale, dopo la tesi, si diventa “Politici professionisti”.

Vedo enormi possibilità lavorative! Sia nel pubblico che nel privato. I politici, eletti nelle elezioni, avrebbero un rapporto di lavoro subordinato ed a tempo determinato, con lo Stato. Avrebbero un proprio Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, una busta paga con un salario prestabilito, composto da paga base, contingenza, terzo elemento, ferie pagate festività soppresse, malattia  e tutto quanto nel diritto. Sarebbero iscritti all’INPS ed all’INAIL e verserebbero i giusti contributi a questi Enti. Espletato il proprio mandato  potrebbero essere rieletti se ben valutati dai voti ricevuti, in alternativa avrebbero l’indennità di disoccupazione per il periodo di legge terminato il quale potrebbero essere messi in mobilità, proporsi  alle imprese private, oppure riqualificarsi, come i comuni mortali imparando a fare altro.

Proposta pazza?!?! Pensiamoci un attimino. Innanzi tutto avremmo dei politici che hanno studiato e si sono preparati per fare quello che devono fare. I politici di oggi invece provengono dalle più svariate professioni.

Avrebbero una retribuzione stabilita, chiara e verificabile. Sarebbero costretti ad operare bene per essere riconfermati. E soprattutto andrebbero in pensione a sessantacinque anni con quaranta anni di versamenti contributivi e con una pensione, non d’oro, ma sicuramente meritata. Sarebbero anche loro sotto tutela dello Statuto dei Lavoratori e dell’articolo 18. Avremmo enormi possibilità di avere una classe politica giovane, e se non giovane, di certo sana e preparata nell’attuare il bene comune, il bene della “Polis” o meglio della “Res Publica”. Cosa ne pensate?!?!

martedì 25 settembre 2012

Martedì 25 Settembre 2012

Ascoltando il telegiornale odierno su RAI due, quello delle 13,00 ho recepito due notizie che mi hano dato da pensare.

La prima è relativa alla situazione che si è venuta a determinare nel Consiglio della Regionel Lazio.
La Polverini si è dimessa e ribadisce che questo consiglio non è degno di rappresentare i cittadini del Lazio e che quindi con le sue dimissioni e lei che "li manda a casa".
A me personalmente le cose smbrano un po' diverse.
Innanzi tutto il casino è venuto fuori perchè alcuni commercianti sono venuti a conoscenza del fatto che certi consiglieri regionali del PDL hanno "taroccato" gonfiandole le fatture di spese al fine di chiedere i riborsi attingendo ai fondi per i gruppi che ogni Istituzione mette a disposizione di chi fa politica. E c'è di tutto dalle spese di parcheggio all'acquisto dei preservativi.
A seguito dello scandalo la Polverini annuncia tagli di bilancio ed azzera il fondo per i gruppi, ma non mostra alcuna intenzione di dimettersi.
A questo punto i consiglieri dell'opposizione radicali ed UDC, esclusi rassegnano le proprie dimissioni dal consiglio. La Polverini non demorde e resta comunque in sella. Poi all'impovviso, forse per mandare un chiaro segnale al PDL, quella b.....ascia di Casini sparge la voce che anche i consiglieri UDC si dimetteranno. A questo punto la Polverini non ha più la maggioranza e rassegna le proprie dimissioni.
Le cose sono andate così! Una cosa mi viene da dire a Casini il quale insiste dicendo che bisogna restituire la parola agli elettori.
NOOOOOOO CASINI AGLI ELETTORI OLTRE ALLA PAROLA DOVETE RESTITUIRE I SOLDI CHE GLI  AVETE PRESO!!!!!!!!!!!!
Bisogna che capiate una volta per tutte che i GLI ONOREVOLI CITTADINI, hanno più volte e chiaramente espresso il proprio pensiero in meito ai SOLDI PUBBLICI dati ai partiti politici:ABOLIZIONE TOTALE DI QUALSIVOGLIA FORMA DI FINANZIAMENTO. Se servono i soldi per far politica...CHIEDETELI AGLI ELETTORI. Essi sapranno ben giudicare se li meritate O NO!

La seconda notizia che mi ha colpita è che Monti, negli Usa dopo aver parlato con Obama terrà un discorso alle Nazioni Unite per informare il mondo intero che l'Italia ha messo in atto tutte le misure possibili e sta uscendo dalla crisi.
Mi è venuto questo pensiero: MA SARA' POI LA VERITA'??? CON TUTTO QUELLO CHE STA SUCCEDENDO NEL MONDO, POSSIBILE CHE ALLE NAZIONI UNITE INTERESSA COSA STA FACENDO L'ITALIA??? Secondo non è così. Ci stanno ancora pigliando per il c...

venerdì 21 settembre 2012

FABBRICA ITALIA" E IL "CASO MARCHIONNE".IL PRODOTTO DI UN'APOCALISSE CULTURALE.

Uomini e no

di Marco Revelli(il manifesto, 20.09.2012)

Non è un problema tecnico. Non c’era bisogno di particolari competenze ingegneristiche o finanziarie per capire, fin dal 21 aprile di due anni fa, quando al Lingotto fu presentato in pompa magna, che il piano «fabbrica italia» stava sulle nuvole. Anche un bambino si sarebbe reso conto che quella produzione da aumentare dalle 650.000 auto del 2009 al milione e 400mila del 2014, quel milione di veicoli destinati all’esportazione di cui «300.000 per gli stati uniti» (sic!), quel raddoppio o poco meno delle unità commerciali leggere (dalle 150 alle 250mila) in meno di quattro anni, erano numeri sparati a caso. Così come quei 20 miliardi di euro d’investimenti in italia (i due terzi dell’intero volume mondiale del gruppo fiat!), senza uno straccio d’indicazione sulla loro provenienza, senza un piano finanziario serio e trasparente, erano un gigantesco buio gettato sul tavolo verde.

Non è nemmeno un problema politico. O meglio, non è solo un problema politico. I pochi - pochissimi! - che annusarono il bluff e lo dissero o lo scrissero, non lo fecero perché «ideologicamente» ostili alla Fiat, o all’«impresa», o al «capitale». Se gli uomini della Fiom, unica organizzazione nell’intero panorama sindacale, capirono al volo che quel patto leonino proposto da Sergio Marchionne - sacrifici operai subito in cambio di una chimera lontana - era una trappola mortale, non lo fecero perché politicamente schierati contro. Lo fecero perché, appunto, erano «uomini», non marionette. Ben radicati nella realtà di fabbrica, spalla a spalla con altri uomini e donne con cui condividevano difficoltà, sentimenti e interessi.

Forse sta tutta qui la soluzione dell’arcano del «caso Marchionne». In una questione di «antropologia»: nella materialità di una condizione umana e di un sistema di relazioni su cui è passata come un rullo compressore una drammatica «apocalisse culturale». È sicuramente il prodotto di un’apocalisse culturale l’anti-eroe eponimo della vicenda, l’ad Sergio Marchionne, svizzero fiscalmente, americano aziendalmente, apolide moralmente. Così come lo sono i variopinti eredi della famiglia Agnelli - i «furbetti cosmopoliti» di cui parla Della Valle - figure ormai abissalmente distanti dal tipo umano dell’imprenditore del primo e anche del secondo capitalismo.

Feroce, certo, spregiudicato e «creativamente distruttore», calcolatore e cinico, ma non incorporeo, sradicato e irresponsabile. Non avulso da ogni terra e da ogni luogo come sono i nuovi manager globali e la nuova proprietà finanziarizzata, la cui parola vale l’éspace d’un matin, e la cui appartenenza è sconosciuta («siamo qui. Anzi io sono a Detroit, ma sto proprio partendo per l’Italia», ha detto l’a.d. Fiat a Ezio Mauro nell’intervista pubblicata proprio ieri da Repubblica, erettasi per l’occasione a informale tramite tra impresa e governo).

Marchionne non è un imprenditore in senso stretto. Non sa «fare macchine» - macchine le fanno ancora i tedeschi, come la volkswagen che ne produce 8 milioni all’anno e veleggia verso i 10 milioni, e che investe in ricerca e sviluppo quasi 7 miliardi di euro, mentre lui va poco sopra i 2 per lo più finanziati dalle banche italiane e impegnati per trasferire oltre oceano la tecnologia fiat.

Marchionne sa fare soldi: nel solo 2010, l’anno di Fabbrica Italia, ha provocato la più severa caduta sul mercato europeo mai registrata (la fiat è scesa ad appena il 6,7%) ma in compenso ha portato il proprio gruppo a guidare la classifica della redditività per gli azionisti, «con un ritorno sul capitale del 33%»!

Vale per lui quanto scritto da Richard Sennett sui manager globalizzati di ultima generazione nel suo ultimo volume su la cultura del nuovo capitalismo: gente che vive strutturalmente - in forza della distanza abissale, di reddito e di stile di vita, che li separa dai luoghi e dalle figure del lavoro - la divaricazione tra guida e responsabilità. Ambivalenti per ruolo e natura. Specializzati nel pensare per «tempi brevi», sul raggio della prossima trimestrale, e a muoversi per improvvisazioni più che per programmazione e pianificazione. Gente, diciamolo, di cui non fidarsi!

Ma prodotto di un’apocalisse culturale sono anche gli altri. Quelli che dovrebbero stare di fronte a Marchionne, e che invece gli stanno dietro (o sotto): i Bonanni, gli Angeletti, buona parte della politica, quasi tutta l’amministrazione. Che cosa ha portato il capo della Cisl Raffaele Bonanni, nell’aprile del 2010 a «brindare alla salute di Fabbrica Italia», definendola «una minirivoluzione che potrebbe riportare l’italia ai vertici produttivi di un tempo»? E ancora l’anno successivo a dichiarare: «sarà brusco, sarà crudo, ma Marchionne è stato una fortuna per gli azionisti e i lavoratori della Fiat. Grazie a dio c’è un abruzzese come Marchionne».

Che cosa ha spinto il segretario della CISL torinese Nanni Tosco - che pure dovrebbe essere un po’ più vicino ai luoghi della produzione - a sbilanciarsi definendo il piano di Marchionne «un’opportunità irripetibile per il sindacato e assolutamente da cogliere, evitando di infilarsi tra le ombre del ’piano b’»? E il futuro sindaco fassino, alla vigilia del famigerato referendum sull’accordo a Mirafiori, a dichiarare senza esitazione che se fosse stato un operaio FIAT (sic) avrebbe votato sì? Ma è pressoché tutto il mondo politico ad aver assistito ai preparativi della fuga di Marchionne - come ha scritto Loris Campetti - «con il cappello in mano, spellandosi le mani ad applaudire le prodezze di un avventuriero». Perché?

Non erano così gli uomini di «prima». Non dico i Pugno (il leggendario segretario della camera del lavoro di Torino venuto dagli anni duri), ma nemmeno i Cesare Delpiano, gli Adriano Serafino, i Pierre Carniti, i responsabili della cisl piemontese e nazionale che guidarono la riscossa operaia. Gente che sapeva conoscere e valutare gli uomini che aveva di fronte, perché conosceva e rispettava gli uomini di cui aveva la responsabilità. E non erano così i Berlinguer, i Novelli, i Damico, ma nemmeno il democristiano Donat Cattin e persino il vecchio sindaco Giuseppe Grosso... In mezzo, tra questi due diversi «tipi umani» - tra queste opposte antropologie - è passata, come un vomere, la lama di una sconfitta storica del mondo del lavoro. Di un arretramento epocale nelle condizioni materiali del lavoro, nel livello delle remunerazioni e dei salari dei lavoratori, e insieme nel ruolo stesso che il lavoro gioca nello spazio sociale, nella sua capacità di parola e di presenza.

Luciano Gallino, nel suo splendido La lotta di classe dopo la lotta di classe calcola che nel corso del ventennio a cavallo tra il novecento e il nuovo secolo lo spostamento di ricchezza dal monte salari al monte profitti sfiori i 250 miliardi di euro all’anno: l’equivalente di numerose manovre finanziarie lacrime e sangue. E’ la misura della perdita di potere del lavoro, che è stata anche sua «privatizzazione». Espulsione del lavoro dalla sfera pubblica (quella in cui l’aveva riconosciuto anche formalmente l’art. 1 della nostra costituzione), e suo confinamento nella dimensione privata, senza voce e senza forza, regolata da rapporti di comando-obbedienza individuali e irrimediabilmente asimmetrici. Di questa dimensione pubblica del lavoro sono orfani, di questa sua privatizzazione (a cui hanno assistito passivamente e collusivamente) sono figli, gli attuali politici maggioritari e i sindacalisti in ginocchio davanti al Marchionne di turno.

L’insostenibile leggerezza del loro essere è il riflesso di una strutturale perdita di terreno. L’evaporare della politica e della rappresentanza in generale (istituzionale o sindacale) nella nuvola eterea dei sistematici luoghi comuni che avvolgono ormai la comunicazione pubblica come un involucro asfissiante (la «cattura cognitiva» di cui parla Gallino), riflette questa liquefazione.

Ora, se questa massa liquida cui si è ridotta la politica nazionale e buona parte dello schieramento sindacale viene chiamata a misurarsi, nelle forme ultimative che la crisi impone, con la dimensione gassosa della nuova imprenditoria globale - con il marchionne di turno - il risultato è scontato: essa è destinata ad esserne dissolta e fagocitata irrimediabilmente, con la comune rovina di se stessa e di noi tutti. Dovrebbe farci pensare il fatto che gli unici a confrontarsi, con durezza, con Marchionne sono i «forti», altri «padroni» come lui, mentre ministri, politici e sindacalisti di regime emettono flebili vagiti e si rimettono, come dice Giorgio Airaudo, «alla clemenza della corte».

Se una speranza è data vedere, se una possibilità di rinascita si può immaginare, essa consiste nei punti di resistenza di ciò che ha saputo restare «solido» nel generale processo di dissolvimento. Mantenere un rapporto col proprio suolo, culturale, sociale, produttivo. Per questo tanta ammirazione - anche al di fuori del campo ristretto delle tradizionali sinistre - avevano saputo suscitare quel 40% di «inattuali» che a pomigliano avevano avuto il coraggio di dire no, e quel quasi 50% di mirafiori. Per senso di dignità, prima che per calcolo di utilità. Sapendo di giocare una partita disperata (perché il ricatto di Marchionne lasciava solo l’alternativa tra «arrendersi o perire»). Oggi sappiamo che vedevano più lontano degli altrettanto disperati operai che votarono sì. Come vedeva lontano la fiom, a cui andrebbe fatto un monumento per aver saputo mantenere aperto un varco, attraverso cui tentare di passare oltre. Di esistere ancora, nel mondo che verrà.


Venerdì 21 Settembre,2012 Ore: 09:35

La riflessione attuale della Teologia della Liberazione aggiunge ai temi tradizionali, la denuncia dell’economia di mercato, l’alienazione che il capitalismo causa a milioni di persone nel mondo e la riscoperta dell’ambiente. Sposa le tesi dei movimenti no global, contesta il neoliberismo, promuove la pace fondata sulla giustizia e la richiesta di una partecipazione democratica efficace da parte dei movimenti di base.

http://cambiailmondo.org/2012/09/20/dalla-teologia-della-liberazione-al-socialismo-latino-americano/

Taranto quartiere Tamburi - Trieste quartiere Servola

 
 
Mentre si continua a discutere ed a querelarsi, a Taranto e Trieste si continua a morire!
 
La Ferriera di Servola inquina e ammorba un quartiere della città mentre si litiga sui dati dell’avvelenamento e sulla vocazione del capoluogo. Mentre chi ci vive continua a pagare.
Il signor Nevio Tul, classe 1941 da Servola, quartiere periferico di Trieste, dev’essere un bel rompiscatole. Vuole da sempre sapere con esattezza di cosa è composta l’aria che respira e se è vero che, nei suoi polmoni o nel suo sangue, circola il maledetto e certamente mutageno-cancerogeno benzo(a)pirene o qualcun’altra di quelle diavolerie chimiche chiamate Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), sei dei quali sono “probabili” cancerogeni. Non ha aspettato Taranto il signor Tul e tanto ha detto tanto ha fatto – col suo medico, quello della Usl (qui Ass) e col Dipartimento di prevenzione locale – che alla fine lo hanno spedito all’Università di Trieste. La relazione firmata da Ranieri Urbani del Dipartimento di scienza della vita il 21 dicembre scorso si basa su campionamenti di aria e urina eseguiti su Tul, sua moglie e su un volontario in altra zona della città (l’area universitaria). E parla chiaro.

Capovolgere la realtà

 

Oggi bisogna stare molto attenti a quello che si vede o si legge.
 
La capacità dei media di falsificare la realtà è enorme... A volte sembra che ti facciano solo vedere le cose da un'altra angolatura, mentre in verità stanno sapientemente invertendo la realtà.

martedì 18 settembre 2012

Le foto dei defunti sul comò

Le foto dei defunti sul comò
Con il caldo, al mio paese, sembra rinascere anche la voglia di stare insieme e di chiacchierare. Alcuni esperti chiamano questo  “socializzare” . Credo sia invece una sana voglia, una volta consumato l’inverno e con la primavera inoltrata, di condividere in armonia gioie e problemi con quanti ci sono vicini.
Per questo a San Paolo di Civitate,  e penso in ogni piccolo paese del Sud, vi è ancora oggi usanza di sedersi davanti l’uscio di casa fino a notte tarda.In effetti le sere d’estate sono  molto calde ed afose e quasi nessuno ha mai voglia di andare letto troppo presto.All’aperto invece  e con la leggera brezza della notte si trascorrono interminabili e piacevoli ore di conversazione.Ovviamente si argomenta  delle cose  più svariate  e quasi sempre lo sport preferito in cui ci si esercita è lo “spettegolare” scambiando notizie, vita morte e miracoli dell’incauto passante e dei suoi avi fino alla settima generazione. Non mancano mai le strane storie di paese, le cose misteriose, le strane morti e le apparizioni di strane creature. Anzi è inevitabile finire a parlare di questo!Gli anziani e le nonne la fanno da padrone e si tira anche fin oltre le due di notte.
Un’estate accadde un fatto curioso che voglio raccontarvi.
Mio fratello Pietro, che mancava da qualche anno, tornò al paese da Milano con un suo amico sardo,Gaetano. Erano venuti da soli senza le rispettive fidanzate per passare una settimana in famiglia.
Quell’anno l’aria era particolarmente afosa e così  dopo cena, consumato le ore di struscio in piazza ed in villa, ci sedemmo, come le altre sere, sul marciapiede davanti  la porta di casa.
Disposte in semicerchio le sedie con ancora le sedute in paglia, bottiglia di acqua per le donne e rigorosamente birra fresca per gli uomini.
Ricordo che eravamo negli anni settanta e noi abitavamo in via G.B.Vico al 15. Affianco  a casa nostra, dove ora sorge la casa di mio fratello Gino, vi erano allora due locali liberi, che presto i miei avrebbero acquistato. In quei  locali, autorizzati dal legittimo proprietario, dovevano passare la notte mio fratello Pietro con il suo amico. Scambiati i convenevoli di rito, come sempre accadeva, si arrivò a parlare di defunti…. Di strani accadimenti, di morti apparenti  e di fatti successi in misteriose circostanze.  I due milanesi ascoltavano con gli occhi sgranati!
Ogni tanto,  con malizioso candore, mia madre chiedeva : “ Jaitèn  ‘n jè ca tì pavùr?!? E cha  t’ fa ‘mpressiòn!?!?” ( Gaetano, non è che hai paura e che ti impressioni!?!?) e lo diceva con uno strano sardonico sorriso. Quindi continuava accentuando maggiormente la fase horror dei racconti.
Ad un certo punto Gaetano, l’amico di mio fratello, non potendone più esclamò :
“ Beh ora sono veramente stanco e me ne andrei a letto”. Si alzarono insieme e si avviarono nelle loro stanze. Nella stanza dove era collocato il letto, dopo il comodino con l’abat-jour, era posizionato il comò. E sul comò riflesso  dallo specchio c’era sempre un lumino acceso davanti alle foto incorniciate di vari defunti. Quando i due entrarono in casa, mia madre immediatamente disse: “ Quìl stasér ‘ng ‘ddorm’n!!! Quìl  tènn pavùr!! ( Quelli stasera non dormono! Quelli hanno paura!)
Allora rimanemmo fuori seduti al fresco ad aspettare cosa sarebbe successo. Non aspettammo troppo che li vedemmo affacciarsi a turno. Ora Gaetano, ora mio fratello. Noi li guardavamo incuriositi e loro dicevano: “ Fa troppo caldo…non si può dormire!!!!” e noi rispondevamo ridacchiando  “ Scìn ti raggiòn …fa proprji càvd” ( Hai ragione è vero fa proprio caldo).
Dopo un po’ uscirono improvvisamente e di corsa… entrarono nell’auto dicendo: “Non riusciamo a dormire per il caldo. Andiamo a fare un giro in macchina”. Sapevamo  benissimo che era una scusa. Le foto dei defunti …il lumicino acceso e l’atmosfera creata dai racconti di mia madre avevano ottenuto  il giusto mix di paura. Tornarono la mattina dopo con il sole ma non vollero più dormire in quelle stanze. La vacanza terminò il giorno stesso e ripartirono per Milano.
 


lunedì 17 settembre 2012

Parla da sola

Condivido e sottoscrivo in pieno questa lettera. Nr ho scritta una simile qualche mese fa.

 

Di seguito una lettera destinata a Monti e Fornero. Si tratta di una storia vera, ma per la complessità dei fatti narrati e la delicatezza degli argomenti i nomi sono di pura fantasia, come fantasia è: recapitare questa lettera ai destinatari...
 
Ministra Fornero e Presidente Monti

la vostra ferocia non mi stupisce per niente, anzi mi chiedevo quando avreste proposto la cancellazione dello statuto dei lavoratori, quando ancora avreste chiesto la pelle della povera gente.

Sono una donna di 50 anni, licenziata prima della V/s riforma e che, adito il Giudice del lavoro, non è stata reintegrata. Alla data di oggi sono disoccupata, e diciamolo pure...povera. Non pago le bollette, il mutuo della casa e tra non molto io e mia figlia adolescente saremo per strada.

Il mio licenziamento è avvenuto per motivi discriminatori e prima della sospensione in tronco del rapporto di lavoro, i miei datori di lavoro, pluriinquisiti (per reati gravissimi , tra cui l'omicidio di un lavoratore) e interdetti da molte prefetture sparse per l'Italia, per infiltrazioni mafiose e camorristiche nelle aziende di cui sono i padroni, per mesi mi hanno letteralmente torturata, fino all'aggressione fisica al fine "convincermi" ad andare via "consensualmente". Venivo cacciata regolarmente davanti a tutti i miei colleghi, con minacce, insulti ed urla, a turno, da ogni padrone/socio, (sono in molti e tutti fanno parte della stessa famiglia,un clan, insomma), mi convocavano continuamente nelle loro stanze per umiliarmi, si inventavano problemi disciplinari che non esistevano, fino all'atto finale: una aggressione fisica e verbale da parte di due di loro. Naturalmente nelle ben due lettere di licenziamento non hanno scritto: sospendiamo il rapporto di lavoro perchè sei comunista, donna, madre ebrea o nera, ma come il diritto vuole:"per giustificato motivo oggettivo" soppressione del posto di l.avoro e impossibilità di riconvertirmi in altra mansione. Ovviamente provare la discriminazione che invece è avvenuta, perchè sono comunista, sindacalizzata e scomoda testimone dei loro traffici, è letteralmente impossibile e nonostante la bravura dei miei amici avvocati che mi hanno difesa gratuitamente, ci siamo arresi di fronte alla impossibiltà di vedere riconoscere dai magistrati i miei diritti. I MIEI EX PADRONI, HANNO SEMPRE LAVORATO E ANCORA LAVORANO CON I SOLDI PUBBLICI GRAZIE ALLA CONNIVENZA, CON LA POLITICA DI TUTTI I COLORI. HANNO TRUFFATO, DISTRUTTO E COMPROMESSO LA VITA DI MIGLIAIA DI IGNARI CITTADINI INQUINANDO IN MODO IRREVERSIBILE L'AMBIENTE E IL TERRITORIO. UNA BELLA RAPPRESENTANZA DEL CAPITALISMO ITALIANO, STRACCIONE E IMBROGLIONE.

Spiegarvi quale è oggi la mia condizione psicofisica è difficile, il trauma subito mi costringe a fare uso di antidepressivi, spesso ho incubi notturni, protagonisti i miei ex padroni, e devo pensare al presente ed al futuro di mia figlia in totale assenza di un reddito. Ovviamente non trovo lavoro, nonostante non mi sia mai fermata nella ricerca. Mi ritengo una persona capace ed intelligente, professionale, preparata e gran lavoratrice, ma vi invito a leggere quei pochi annunci di lavoro che ci sono,per rendervi conto che se una donna perde il lavoro a 50 anni è letteralmente fottuta (fatemi passare il termine, volgare ma efficace). Non posso fare gli unici lavori ancora richiesti, la badante e/o la donna delle pulizie, perchè in seguito ad una grave malattia ho una invalidità permanente e ne andrebbe della mia vita. Insomma sono fuori dal mondo del lavoro e ogni giorno perdo un pezzetto della mia dignità per esistere.

Naturalmente vi chiederete il motivo di questa lettera, non chiedo certo la vostra pietà e tanto meno la vostra comprensione perchè per la prima non so che farmene, io voglio diritti e per la seconda... siete troppo feroci, ingordi e satolli per comprendere queste tragedie.

La ragione che mi ha spinto a scrivere questa lettera è un atto di accusa contro di voi e contro chi da almeno un decennio sta massacrando i lavoratori, Il famigerato "centrosinistra", con la CGIL in testa. Voi non siete tecnici, ma solo i sicari di questi signori e fate una sporca politica in nome e per contro di questa classe dirigente e soprattutto in nome dei poteri economici da Voi rappresentati e che hanno nei loro libri paga i nostri politicanti.

Ministra del lavoro e delle pari opportunità, come vede anche prima si poteva licenziare impunemente chi ti dava fastidio, o ti stava antipatico, e si può chiedere sempre alle donne di rinunciare alla maternità per lavorare o peggio ancora (e qui la vostra riforma lo legalizza) si possono schiavizzare i lavoratori con il ricatto della sopravvivenza e...Presidente Monti...per la produttività. Con la riforma Fornero adesso si può decidere eventualmente di far lasciare ai pensanti il cervello a casa e rinunciare ai propri diritti e, con l'accordo del 28 aprile 2012, col benestare dei sindacati. Si può costringere una giovane o un giovane lavoratore ad accettare qualsiasi compromesso senza la certezza di un futuro, si può imbrogliare in tutta legalità sui contratti d'inserimento ed a termine. Si può buttare fuori un lavoratore nella piena legittimità per prenderne tre al prezzo di uno con la scusa dell'apprendistato e degli stage. Si potrebbe con l'aiuto di Monti, che vuole sopprimere l'intero statuto dei lavoratori, se non era già abbastanza averlo distrutto, magari ammazzarli sul lavoro e passarla liscia. Ministra, lei l'ha detto in televisione: la modifica degli artt. 18 e 8 dello statuto sono già di per se' sufficienti a massacrare il lavoratori.

Tutto per pagare una crisi e un debito di cui non siamo responsabili e arricchire ancora di più chi già è straricco.

La mia è una delle centinaia di migliaia di tragedie di questo paese. Dietro ogni provvedimento di attacco ai lavoratori ai pensionati e ai giovani c'è una storia, più spesso una tragedia, un nucleo familiare che si sfascia o una vita che si spegne e VOI SIETE I KILLER.

SENZA ALCUN AFFETTO

Maria


I fatti narrati sono documentati e riscontrabili da documenti, atti giudiziari e amministrativi.

 

sabato 15 settembre 2012

 
La festa del Preside - Boby e Lilly

Finalmente arrivò l’inizio delle Scuole Medie ! Mi trasferii a Troia. Una bellissima cittadina sempre in provincia di Foggia, ma posta su una collina più alta di quella a cui ero abituato in San Paolo di Civitate.
Alloggiavo presso l’Istituto di Padri Missionari Comboniani dove i miei pagavano una retta annuale di 150 mila lire.
Per la mia famiglia era un grosso sacrifico, ma era l’unico modo perché potessi continuare gli studi.
Restai a Troia per tutto il triennio delle medie e per i due anni successivi del ginnasio che frequentai a Foggia…ma non corriamo troppo.
Troia era una pese bellissimo, arroccato sulla collina e disposto per il lungo. Era sempre molto ventoso e ricordo che al mattino per recarci a scuola dovevamo attraversare il lungo corso centrale del paese che terminava in grande piazzale con l’edificio scolastico di fronte. Si faceva fatica perché era in salita, mentre all’uscita era una facile corsa. Il seminario di cui eravamo ospiti era dedicato a Maria SS Mediatrice veneratissima dalla popolazione locale e non.
Il primo anno per me non fu facile. Per mio carattere infatti, necessito sempre, ancora oggi di una certa quantità di tempo per ambientarmi; per conoscere le nuove situazioni che mi circondano e per potermi aprire alle nuove opportunità.
Dimenticavo una cosa importantissima!!! Il nostro Seminario era pieno di ragazzi provenienti dai più diversi paesi della provincia di Foggia ed alcuni venivano anche dalla provincia di Bari o addirittura dalla Basilicata e dalla Campania. Ci caratterizzavamo per il fatto che eravamo tutti appartenenti a famiglie non certo benestanti, ma tutti avevamo espresso il desiderio di diventare Padri Missionari.
Vi era anche un altro Istituto gestito dai Padri Diocesani con i quali siamo sempre stati in aperta competizione. Sono ancora oggi certo che loro non ci vedevano di buon occhio perché noi eravamo “i fratelli poveri” . Noi frequentavamo le scuole statali ( cosa rivoluzionaria per l’epoca), loro le scuole interne all’istituto. Quando uscivamo in paese noi avevamo vestiti normali e potevamo benissimo confonderci con gli altri ragazzi del paese. Loro erano vestiti con la tonaca nera, lunga e piena di bottoni e camminavano sempre in fila per due. Un po’ mi facevano pena! Comunque passato il periodo dell’ambientamento, fu quasi naturale per me mettermi in mostra in quanto me la cavavo molto bene nel canto e nel gioco del calcio. Inevitabilmente divenni una specie di capetto dei ragazzi della mia età.
Il disegno era la mia bestia nera. Non ero capace proprio! Ed il mio professore che ricordo si chiamava Medoro fin da subito mi prese di mira ed appena poteva mi infliggeva voti bruttissimi.
Quell’anno nello stesso giorno cadevano due eventi. Il compleanno del Preside ed il decennale della sua presidenza a Troia. Il Preside, che ricordo faceva di cognome Dell’Aquila, al solo vederlo incuteva timore. Era una persona alta, distinta con uno sguardo forte che ti guardava sempre dritto negli occhi.
Aveva un modo di incedere tutto suo: incrociava le mani dietro la schiena e procedeva teso con la schiena dritta. Sembrava avesse un’asta rigida per il lungo in mezzo alle spalle.
Le insegnanti decisero di organizzare per il fausto giorno la rappresentazione di una operetta. Fecero alcuni provini ed io venni scelto per interpretare il personaggio di Boby. Dovevo recitare e cantare insieme ad una ragazzina che interpretava il personaggio di Lilly. Sinceramente non ricordo più la trama dell’operetta, ma una cosa ancora oggi mi è rimasta stampata nella mente.
Un po’ di pazienza….procediamo con ordine!
Provammo e riprovammo per giorni e giorni. Boby e Lilly eravamo affiatatissimi e bravi entrambi. Gli insegnanti che assistevano alle prove erano entusiasti e già pregustavano il successo e la stupenda figura che avrebbero fatto agli occhi del Preside. Ricordo che mi cucirono un costume ad hoc composto da un pantalone tutto rosa con due righe nere lungo le gambe; una camicia bianca ed un gilè con due bottoni anche lui rosa. Lilly invece indossava una gonna larga lunga e tutta bianca, una camicia bianca e anche lei un gilè rosa. Ma, come succede spesso, l’imprevisto era in agguato ed il diavolo ci mise le corna. Infatti due giorni prima dell’evento fui colpito da una violentissima faringite! Caramelle per la gola, tisane balsamiche, sciarpe di lana a protezione della gola…non ci fu nulla da fare la faringite non passava! Alla prova generale accadeva che le scene di recitazioni riuscivo a completarle anche con qualche pausa aggiuntiva che però non destava sospetti, ma quanto dovevo cantare al posto della mia solita voce squillante venivano fuori dei versi gracchianti e la voce si strozzava in gola!
Purtroppo non era stata prevista la possibilità di un sostituto e così si decise che comunque avrei eseguito l’operetta.
Il giorno fatale arrivò! Il Preside era seduto in prima fila, con anche il Sindaco e le altre autorità del paese.
Andò tutto alla perfezione sino al punto in cui dovevo cantare queste parole che ricordo ancora molto chiaramente. Sulla scena c’eravamo Boby e Lilly ed io rivolto a lei cantavo:
Oh che rosse fragole
Bagnate ancor
Dalla rugiada fresca del mattin
Sulle labbra lasciano
Un dolce umor!
Orsù assaggiate ve ne do
Un pochin!
La melodia era di qualche ottava alta e mi ritrovai con pochissima voce e per lo più gracchiante.
Ma anche con le lacrime agli occhi continuai e portai a termine non solo la canzone, ma anche tutta l’operetta.
Fu un successo strabiliante! Il Preside volle addirittura abbracciarmi e le autorità tutte mi strinsero la mano. Il mio pianto lentamente si trasformò in sorriso e tutta la platea esplose in un applauso che ancora oggi mi fa venire la pelle d’oca.
Da allora divenni “il coccolino” del preside e quindi ero benvisto in tutto l’istituto.
Persino Medoro, il professore di disegno, prese a benvolermi e da allora quando mi vedeva in difficoltà nel disegnare, si avvicinava al banco, mi consigliava e mi aiutava anche materialmente.
Ho trascorso tre anni felici. La mia Lilly non l’ho mai più rivista. Ho però imparato che anche un insuccesso può trasformarsi in vittoria quando l’impegno profuso in esso è il massimo di quello che in quel momento potevi dare.


venerdì 14 settembre 2012

Un manifesto contro gli OGM e per una ritrovata sovranità alimentare. Un documentario ma anche un racconto per conoscere questa straordinaria esperienza maturata in poco più di dieci anni e che oggi è sicuramente tra le più significative del mondo. Le immagini, le testimonianze, i racconti, dei contadini, delle donne, dei protagonisti. I luoghi in cui con un rispetto quasi sacrale si conservano i semi. I progetti per il futuro, la commercializzazione, lo sviluppo.


Perché l’America e Israele sono le maggiori minacce per la pace

 

“L’operazione che è dietro questo film pare essere di egiziani estremisti copti che voglio screditare il governo Morsi e creare una provocazione”, ha dichiarato ad Al Jazeera il giornalista Max Blumenthal

 
 

Sembra AVATAR....ma purtroppo non è un film!

 
http://www.coscienzeinrete.net/economia/item/826-messaggio-dei-dongria-a-vedanta-non-lasceremo-mai-la-nostra-terra

Se si perdono posti di lavoro la colpa è dello Statuto dei Lavoratori


“Certe disposizioni dello Statuto dei Lavoratori di nuovo ispirate all’intento molto nobile di proteggere la parte più debole ritenuta essere quella del lavoratore hanno potuto contribuire a determinare insufficiente…insufficiente creazione di posti di lavoro”
 
Ho provato a riportare testualmente ed in virgolettato le parole espresse dal Professor Monti nella videoconferenza organizzata dall'Università Roma 3 facoltà di Lettere.
La facoltà di Lettere era stata occupata la sera prima prorpio per impedire la "passerella" del Primo Ministro e di altri professoroni ritenuti responsabili dell'attuale situazioni di crisi e pertanto contestati.
La mattina dopo il Premier ha pensato bene di evitare ulteriori contestazioni e non si è presentato ed ha effettuato l'intervento in videoconferenza.
Ripetendo un vecchio ritornello a cui il Prof. Monti è evidentemente affezionato le parole espresse  ne denotano la reale "forma mentis" anche se si ostina a ripeterci che non è affatto vero che egli rappresenta i poteri forti della Finanza e delle Banche.
Il pensiero montiano è chiarissimo. Lo Statuto dei Lavoratori,  anzi no solo "certe disposizioni" ( e ci piacerebbe sapere quali) "di nuovo ispirate all'intento molto nobile di proteggere"....quasi a dire ancora una volta rompendo le scatole al povero imprenditore tutto intento a trovare modalità sicure e tranquille di trasferire gli utili all'estero e caso mai farli rientrare scudandoli....
"la parte più debole ritenuta essere quella del lavoratore"
Perchè in effetti il lavoratore non è la parte più debole, ma solo quella ritenuta tale! Da chi poi?  Ma dai sindacati naturalmente che secondo questa logica hanno come unica funzione quella di costruire il proprio consenso. Ecco secondo il montiano pensiero cosa ha  "potuto contribuire a determinare insufficiente creazioni di posti di lavoro. E certo perchè questi cavolo di lavoratori vogliono persino essere pagati a fine mese; vogliono che gli vengano versati i contributi; vogliono poter lavorare senza dover morire ....Tutto questo spaventa il povero imprenditore che va capito ed aiutato....Poi a sera è arrivata regolarmente la smentita. La gaffe era troppo grossa!

Finalmente una bella notizia!!!!! E' solo un primo passo. Speriamo che venga al più presto approvato in Aula e diventi NORMA

http://www.lettera43.it/politica/il-reato-di-tortura-entra-nel-codice-penale_4367564325.htm

mercoledì 12 settembre 2012

U p’zzùch ( Il piantatoio)

Finita la quinta elementare, per poter continuare a studiare, io ed altri due miei compaesani entrammo in seminario a Troia, una cittadina in provincia di Foggia, presso l’Istituto de Padri Comboniani. Restavamo in seminario per tutto il periodo scolastico, terminato il quale ci veniva concesso di rientrare presso le nostre famiglie e trascorrere il periodo delle vacanze estive. Erano comunque tempi difficili ! La retta in istituto, che all’epoca era di circa centocinquantamila lire l’anno. Poi bisognava comprare i libri di scuola. Per noi non erano delle vere vacanze. Bisognava trovare dei piccoli lavori da fare per aiutare la famiglia a sopportare tali spese. Infatti io preferivo andare a lavorare in campagna, se trovavo da lavorare o in alternativa, andare con mio padre per aiutarlo nei suoi lavori di contadino. Quasi tutto il periodo estivo lo si passava in questo modo e poi si rientrava in seminario per riprendere gli studi. E’ stato così per tutte le estati dal ’66 in avanti. Un’estate, ricordo, che non riuscivo a trovare nulla da fare. Il lavoro che facevo di solito, quello di andare ad innaffiare le barbabietole da zucchero, era già tutto assegnato ed era difficile potervi accedere. Bisognava solo sperare che qualcuno si ammalasse per poterlo sostituire. E con questa speranza, nel frattempo, mi misi appresso a mio padre per aiutarlo. Mio padre ha sempre lavorato la campagna: la sua per prima e poi, come bracciante, anche quella degli altri compaesani. Quel giorno di luglio però era libero ed allora decise di andare nelle nostre terre. Aveva una vigna piantata in località “U Trentìn” e quel giorno ci andammo per vedere come stava la vigna. Nei giorni prima aveva piovuto ed il terreno era ancora morbido per l’abbondante pioggia. Ad un certo punto, camminando nella vigna eravamo quasi arrivati alla fine dei filari. Oltre i filari vi era ancora un pezzo di terra libero da piantagioni. Proprio in quel pezzo di terra mio papà stava pensando di fare qualcosa perché ad un certo punto mi disse. “ Va ‘ndò pagghjèr, pigghje u p’zzùch e purt’l qua”. (Vai al casolare, prendi il “piantatoio e portalo qua). Quasi a metà del campo e dei filari della vigna mio padre aveva costruito una specie di casetta alla buona che serviva più che altro per ripararsi dalle intemperie e per riporre gli attrezzi alla sera. Questo era dunque “u pagghjèr”. Li dentro doveva trovarsi “u p’zzùch !! Mi girai di scatto e cominciai a camminare lentamente pensando tra me e me : “ma cosa cavolo è che devo prendere……Anzi, sembrerà strano, ma anche i miei pensieri mi venivano in dialetto sampaolese. “……. Che cazz jè stu p’zzùch??? ‘npò jess u p’zzùch da sègg,….. e n’ha jèss mang u p’zzùch da skèl” ( Cosa cavolo è “u p’zzùch??? Non può essere il piolo della sedia… non deve essere neanche il piolo di una scala). Insomma non riuscivo a capire cosa servisse a mio padre. Intanto però ero arrivato alla casetta e non trovavo cosa prendere. Allora, sapendo già che lo avrei fatto incavolare, tornai indietro da mio padre e quando vi arrivai vicino gli chiesi “ Papà ma ch jè u p’zzùch”. ( Papà, ma cosa è che devo prendere). Mi guardò come se fossi un marziano e vidi che cominciava ad arrabbiarsi. Lo vidi andare con passo veloce verso la casetta e tornare con un pezzo di legno che aveva la forma di una elle. La parte lunga della elle era molto appuntita mentre la parte corta veniva usata come impugnatura. Lo agitò in alto davanti ai miei occhi e mi disse. “ Ma tu d ‘ndò cazz sì!!!!. Quìst jè u p’zzùch. (Ma tu di dove sei!!! Questo è il piantatoio). Dopo di che lo vidi impugnare quell’attrezzo, conficcare la parte lunga ed appuntita nel terreno e praticare un foro dentro il quale lasciò cadere qualcosa che aveva nella mano. Aveva seminato. Da quanto ebbi modo di vedere capii di cosa si trattava. Non ho più dimenticato da allora che, secondo il nostro dialetto sampaolese, u pzzùch era non solo il piolo della sedia e della scala, ma anche l’attrezzo che si usava per fare manualmente nel terreno la sede dove depositare il seme. Se chiedete a chi ha ancora l’orto, credo che usi ancora oggi questa tecnica per piantare semi nel terreno.

martedì 11 settembre 2012

Le prime sigarette

Certo che noi umani siamo proprio strani! Da adulti ci piace ripercorrere i ricordi e rivedere nostalgicamente i tempi di quando eravamo ragazzi, mentre da ragazzini non vediamo l’ora di crescere per poter fare “le cose dei grandi”. Per questo motivo, ma soprattutto perché il gusto delle cose proibite ha sempre avuto un certo fascino, anche io fin dall’età di sette, otto anni smaniavo per “fumare” la mai prima sigaretta. A quei tempi le sigarette si vendevano “sfuse” e quindi non era necessario comprare il pacchetto intero. Questo per noi era un enorme vantaggio poiché erano i “tempi delle quattro esse”. La frase che fotografava la nostra condizione di ragazzi infatti era la seguente: “Stèngh sèmp senz sold!!!” ( Sono Sempre Senza Soldi). La famose quattro esse appunto. Ricordo si cercavano le cose più strampalate per “fabbricarsi” una sigaretta. Tra le cose più assurde ricordo che la mia preferita era quella di produrre la sigaretta utilizzando la paglia con cui erano fatte le sedute delle sedie. A casa mia, ancora oggi le conservo, le sedie che utilizzavamo avevano le sedute fatte di paglia intrecciata. Dal sotto della seduta, io sfilavo una treccia di paglia che poi tagliavo in piccoli pezzi di quattro o cinque centimetri circa. Questi pezzi, se eri fortunato, riuscivi ad avvolgerli in della carta velina che veniva saldata dopo averla umettata ben bene con la saliva. Ed ecco formata l’agognata “sigaretta”. A questo punto, come un ladro che ha commesso il furto, dopo aver rubato alcuni “prosperi” o meglio “ i lumìn; i zulfanèll”; appartati in luogo rigorosamente nascosto e possibilmente al buio si dava inizio al rito: l’accensione della prima sigaretta. Accesso il fiammifero, lo si portava lentamente alla bocca dove era stata posta l’autarchica sigaretta. Prime boccate per l’accensione…primi violenti colpi di tosse per l’inesperienza. Poi pian piano le cose andavano meglio e si tirava e si sputava fuori in fumo senza ingoiarlo. Se per caso accadeva di ingoiarlo, si esplodeva in violenti colpi di tosse che causavano violento rossore da soffocamento e gli occhi sembrava volessero schizzare via dalle orbite. Cosa importantissima, questa “iniziazione” doveva avvenire in compagnia almeno di un altro amico, se non in gruppo. A tale proposito ricordo che il mio amico era Franco Ponzano con il quale per un periodo abbiamo diviso tutto. Eravamo come fratelli. “ Frà quanta sold ti joji ?? “ – Ji tèngh vìnt lìr e tu?? – Ji n’ tèngh sùl déc!!!” E và bòn ja almen quàtt o cìngh Nazionèl ci putìm ‘ccattà”. ( Franco, quanti soldi hai – Io ho venti lire e tu? – Io ne ho solo dieci – E va bene dai almeno quattro o cinque nazionali le possiamo comprare) Già perché ai miei tempo c’erano la NAZIONALI senza filtro (le sigarette più economiche) nel classico pacchetto di carta tutto bianco con una grande “N” blu. C’erano poi le SAX e le Nazionali da Esportazione. Queste ultime erano in un pacchetto tutto verde che riportava sui lati l’immagine di una Caravella stampata in nero. Non ho mai capito dove cavolo venivano esportate, però avevano il filtro. Il bello accadeva quando andavamo a comprarle. Innanzi tutto era sempre un dramma per chi doveva andare. Mi viene in mente la scena di Totò nel film “La banda degli Onesti”. “ Franco, Joji tòcc a te… va dìnt e fatt da tre nazionèl senza filtr”. ( Franco, oggi tocca a te..vai dentro e fatti dare tre Nazionali senza filtro) Il tabaccaio ci sgamava sempre quando dicevamo: “ A dìtt papà, ma dà tre nazionèl senza filtr??”. (Ha detto mio padre, dammi tre Nazionali senza filtro) Allora lui rispondeva “ Aaaah s’ l’ha dìtt papaà….” (Ah, se l’ha detto papà?!?) E così dicendo prendeva una bustina di carta velina e vi avvolgeva dentro le tre sigarette. Quando avevamo pochi soldi gli chiedevamo: “ A dìtt papà, m’a dà ‘na Nazionèl senza filtr??” Il tabaccaio di rimando: “Vùna sòl??? E t’ le ‘ncartà o t’a purt accuscì???” (Una sola ??? E te la incarto o la porti via così???) Insomma ogni volta lui giocava con noi come il gatto con il topo. Smisi di “fumare” per tantissimo tempo per a riprendere all’età di diciotto anni. Poi, a cinquantatrè anni ho smesso definitivamente ed ho ripreso, così a gustare odori e sapori che continuando non avrei potuto più apprezzare!

L'Uomo finisce dove inizia il soldato!

 
 

Soldato

 
Dal mare immenso dell’umana
sofferenza
evaporano gocce purpuree
di rugiada che in nuvole
vermiglie si condensano.

E piove sangue dal cielo!
Torna a casa soldato!
Mai potrai lavare
col fucile
l’orrore dagli occhi
di chi per secoli oppresso
si ribella.

Getta l’arma
Via lo scudo
Torna in mezzo
alla tua gente!

lunedì 10 settembre 2012

Stella di mare

 
 
 
Stella di mare
Cerchio di fuoco s’affaccia
da oriente
L’umido sapore della notte
appena fuggita
un accennato velo di nebbia
stende nel giorno
che sta per cominciare.
Scalzo solo silenzioso
cammino lungo l’arenile.
Assorto scruto la sabbia
cercando strane forme di
conchiglie colorate
Prezioso dono improvviso
Una stella di mare da un’onda
spiaggiata raccolgo e stringo
nella mano.
Antica leggenda di mare
narra di stelle dal cielo
cadute nei pleniluni
d’agosto
Nel fondo del mare finire
la corsa e tra i coralli
trovare riposo
seco portando sogni e desideri
di ragazzo che per un istante
le vide e ne seguì la luminosa scia.
Il mare protegge tutti i sogni
Il mare custodisce i desideri
E li restituisce poi,
stelle di mare,
allorché si son compiuti!
Favola irreale o mito
immaginario
Una stella di mare oggi
ho trovato
Il mio sogno si è avverato!
Il mio desiderio realizzato:
Lunga storia d’amore
la mia vita
vissuta insieme a te!


sabato 8 settembre 2012

Ecco come fallisce una banca


A mia moglie per il suo compleanno

Sinfonia d’amore

Questa luna piena di agosto
illumina a giorno la notte
e le stelle accese nel cielo
sembrano note su di un
pentagramma
Compongono gli accordi
di una antica sinfonia d’amore.
Sciogli lunghi i tuoi capelli
China il tuo capo sul mio petto
Chiudi i tuoi occhi e riposa.
Io veglierò il tuo sonno
Accarezzerò il tuo viso
bacerò le tue ciglia
Sarò geloso custode dei tuoi sogni
Dormi sicura
Ti terrò tra le mie braccia
I battiti del mio cuore saranno il ritmo
Lo sciabordìo
lento e continuo delle onde
del mare sarà la melodia di una dolce
canzone che ti cullerà.
All’ultimo gabbiano volato
lontano verso il sole
ho affidato il mio messaggio d’amore
per te.

lunedì 3 settembre 2012

I Scorciamèn

Il caldo del Sud è un caldo secco, intenso che renda la pelle scura e ruvida. Quando il sole picchia nel meridione lo si sente fin dentro le ossa. E’ un sole che può anche farti male se non ne dosi l’assorbimento. Se poi si unisce anche il vento di Faùgno, un vento caldo che ti toglie il respiro, allora bisogna avere la massima accortezza ad esporsi a questo clima. Il paese in cui sono nato, San Paolo di Civitate, è uno dei tanti paesini del sud situato all’ingresso della Puglia, sul fiume Fortore quasi all’inizio di quella pianura detta “Tavoliere delle Puglie”. E’ un territorio prevalentemente agricolo ed ogni abitante, anche se non agricoltore, ha il proprio pezzetto di terra da cui cerca di trarre non profitto, ma sostentamento. Al mio paese la gente si conosce una per una e non è possibile non incontrarsi in quanto i luoghi principali d’incontro sono o la lunga piazza al centro del paese o la villa comunale. Un ulteriore luogo di socializzazione è dato dal “mercato” che si svolge ogni martedì. Le donne soprattutto si incontrano ed oltre ad acquistare quello che necessità rendono questo un importante momento di scambio di opinioni. In ambienti come questo dove tra l’altro vi è quasi niente per l’infanzia, è molto difficile tenere occupati i bambini soprattutto se poi sono, come sono sempre i bambini di paese, bambini molto vivaci. Ricordo quindi, nella mia fanciullezza, che terminata la scuola si correva a casa a mangiare qualcosa e poi subito si sgattaiolava fuori in strada a giocare possibilmente senza che la mamma se ne accorgesse. Le mamme, però, che si accorgono sempre di tutto, spesso lasciavano fare salvo dopo un po’ richiamarci al dovere di fare i compiti. Questo succedeva sempre ….tranne nei periodi in cui il caldo diventava opprimente. Quando ero bambino d’estate era proibito uscire. Durante la “controra” si doveva rimanere in casa. Si raccontavano strane storie di gente colpita da insolazione nei campi. La “controra” è quel periodo di tempo che va dalle ore 14,00 sino alle 16,00 /16,30. Effettivamente il periodo in cui il sole è più cocente e l’orizzonte sembra tremolante per l’afa. Mia madre socchiudeva le ante della porta di ingresso e così otteneva un doppio risultato: si creava l’oscurità e non il buio; ed in secondo luogo si aveva la percezione che fosse meno caldo. Poi si stendevano delle coperte sul pavimento e noi ci si sdraiava su di queste per riposare. L’obbiettivo era quello di farci fare “il riposino” pomeridiano, ma chi è stato bambino a San Paolo, sa perfettamente che noi non avevamo per nulla voglia di dormire ed allora si rischiava di prenderle. Le nostre mamme ci dicevano: “dormi che è controra……. Non si può uscire ….. c’ stànn i scorciamèn” Ci avevano raccontato che “i scorciamèn” erano dei folletti cattivi e dispettosi che durante le ore più calde della giornata si aggiravano per il paese. Chiunque aveva la sventura di incontrarli veniva trasportato in aperta campagna e qui gli venivano scorticate le mani!!!! Tutti noi bambini avevamo terrore al solo nominarli e le nostre mamme o anche le nonne che lo sapevano, quando una folata di vento muoveva rumorosamente le ante delle porte socchiuse, ci ripetevano sussurrando “…… i sì; i sì stann ‘rruann. Durmìt, durmìt cha s’nnò ve pigghjen!!! ( Li senti,li senti stanno arrivando. Dormite, dormite se no vi prendono). Questa storia si ripeteva per due o tre volte ed alla fine, stanchi ci addormentavamo. Ovviamente in paese nessuno li ha mai visto “i scorciamèn” ma se chiedi in giro ognuno ti sa dire come sono fatti. E se sei sanpaolese, facci caso….. Ancora oggi durante la CONTRORA il paese sembra deserto ….. quasi……addormentato!

Il Gioco delle cinque pietre

I cìng prét – Le cinque pietre E’ stato in assoluto il mio gioco preferito!!! Innanzi tutto bisognava trovare cinque pietre sferiche il più possibile. E già questo non era cosa facile. Ricordo che passavo interi pomeriggi “dìnt a Vìll o dìnt a v’llètt” setacciando l’intero acciottolato. Una volta trovate, le pietre diventavano oggetto di culto e di venerazione.. Si viveva in simbiosi perfetta con le proprie pietre fino a convincersi che qualcosa di magico si sarebbe instaurato tra esse e noi. Se per caso se ne perdeva una , si scatenavano dei veri drammi. Si arrivava persino a pensare che l’avversario avesse escogitato qualche trucco per causare la perdita quasi per interrompere il flusso di energia che si era creato. Ancora oggi, anche se molto molto raramente, è possibile che qualcuno sia in grado di praticare il gioco. Il gioco consiste nell’esecuzione sequenziale, senza commettere errori, di nove fasi. Ma andiamo con ordine. Per prima cosa occorre dire che si può giocare in due o più partecipanti. Inizialmente si sorteggia chi deve iniziare. Ci si siede, quasi sempre , uno di fronte all’altro “sòp a na chianghètt” al bordo della strada. Il sorteggiato, delle cinque pietre, ne sceglie una che mette nella mano destra, quindi con la sinistra lancia per terra le altre quattro. Poi lanciando ripetutamente in alto con la mano destra la pietra scelta, deve raccogliere, sempre con la mano destra, le altre prendendone una alla volta. Se la pietra lanciata in alto non viene riafferrata e cade, bisogna passare la mano. Se tutto fila liscio termina la prima fase. Allo stesso si procede per la fase due. La differenza consiste nel prendere da terra due pietre per volta anziché una. Ovviamente il tutto con la sola mano destra. Se la pietra lanciata o una delle due prese da terra, cade o non viene tirata su, si deve passare la mano. Se per caso le pietre sono distanti si può avvicinarle, un tocco per volta, sempre lanciando in aria la prescelta. La terza fase, una volta che con la mano sinistra sono state lanciate le quattro pietre, consiste nel tirar su tre pietre in un colpo solo e la quarta con il secondo colpo o viceversa. Le pietre possono essere accostate e se qualcuna cade bisogna passare la mano. Regola molto importante è quella che ti permette di mollare le pietre raccolte da terra se pensi di non riuscire a riprendere la pietra lanciata in alto. La quarta mossa è un insieme di velocità e destrezza. Premesso che bisogna raccogliere le quattro pietre in un unico colpo, ci sono due modi di agire : 1) si accostano le quattro pietre e poi le si tira su con un colpo deciso 2) Oppure, come io preferisco fare, metto tutte e cinque le pietre nella mano sinistra. Lancio in alto la preferita che tengo tra l’indice ed il pollice e, mentre con lo sguardo la seguo, con la destra appoggio unite ed in piano le altre quattro pietre, che raccolgo effettuando un secondo lancio. Fase cinque: “ u punt’cèll” Dopo aver lanciato le quattro pietre, con la mano sinistra si forma un ponte appoggiando da un lato il pollice e dall’altro l’indice con il medio accavallato. Lanciando ripetutamente in alto la quinta pietra si deve far passare sotto il ponte le prime tre pietre mentre l’ultima doveva essere fatta passare con un colpo solo. E’ ovvio che se l’ultima non passa con l’unico colpo o la pietra lanciata cade, si commette errore e si deve passare la mano. Fase sei “ u mart’llùcc” Si racchiude la mano destra a forma di pugno; sul fondo del pugno, tenuta dal mignolo, si infila la pietra preferita. Si afferra tra pollice e l’indice una delle pietre da terra, si battono due colpi e si lancia in alto il sassolino tenuto tra pollice ed indice. Prima di riafferrarlo al volo bisogna battere un terzo colpo col sasso tenuto nel fondo del pugno e così di seguito. Fase sette: “ a pìnz” Le cinque pietre sono sparse per terra e con le mani, incastrandole a forma di canestro, usando gli indici uniti a mò di pinza si afferra un sassolino, lo si lancia in aria e lo si raccoglie nel canestro. Fase otto: “a frùvc” Tutte le pietre vengono lanciate in alto e con il dorso della mano destra si cerca di raccoglierne almeno una, quindi tenendo in equilibrio la pietra sul dorso, sempre con la destra, usando le dita come una forbice bisogna raccogliere le altre pietre. Alla fine si lancia in alto quella (o quelle) sul dorso che deve essere raccolta al volo. In questa fase si commette errore e si passa la mano se cade una delle pietre che si hanno sul dorso. Infine, fase nove, le pietre si raccolgono nelle mani impostate a coppa; si lanciano in alto e si raccolgono con i dorsi uniti di entrambe le mani, poi si rilanciano in aria e si riprendono con le mani a coppa. Se tutte le pietre tornano nella coppa si acquisiscono cinque punti e tutto ricomincia!