Quell’estate era particolarmente calda e mentre nelle giornate normali il
tempo comunque trascorreva grazie alle solite quotidiane attività, durante le
domeniche dominante era la noia perché le ore
sembravano interminabili e la
giornata durava una infinità.
Inoltre il caldo accentuava ulteriormente l’inedia a tal
punto che molto spesso una sana fetta di anguria ghiacciata ardentemente
desiderata, ma voracemente consumata riacutizzava l’idea di apatia che ci
prendeva.
E così, come tutte le domeniche, noi vitelloni adolescenti
di paese, terminata la messa delle 11,30, ci recavamo straccamente nella villa
comunale dove si svolgeva il rito del primo approccio.
Era il periodo in cui una ragazza non usciva mai da solo per
non essere additata dalle malelingue.
Le ragazze venivano in villa per il consueto passeggio
domenicale post-messa e pre-pranzo.
Erano sempre o in compagnia delle amichette, o scortavano il
fratellino piccolo oppure un qualsiasi nipotino. La realtà è anche le ragazze
attraversavano il periodo del “mostrarsi” agli occhi predatori di noi
“maschietti”. Sinceramente non ho mai capito chi fosse il predatore e chi la
preda.
Le ragazze, molto più sveglie di noi, lanciandoci languide
occhiate, ci ordinavano di sceglierle, mentre erano esse stesse a sceglierci.
E noi ci siamo sempre illusi di essere “i maschi che conquistano”!
La villa comunale aveva un bellissimo viale centrale
alberato delimitato per tutta la sua lunghezza da una serie di panchine che
all’epoca erano metalliche. Il viale aveva di fatto tre corsie. Nella centrale
passeggiavano di solito le ragazze “libere” . Nelle corsie laterali, quelle più
prossime alle panchine, passeggiavano invece le ragazze già “in parola”, quelle
impegnate, o addirittura quelle già accoppiate tutte comunque mai da sole.
Anche io, pur essendo all’epoca un seminarista, partecipavo
d’estate a questo strano, ma bellissimo cerimoniale. Avevo anche ricevuto
scambi di sguardi ed una “quasi mezza promessa d’impegno” da una ragazza che mi piaceva molto che però
mi confidò che a breve avrebbe dovuto trasferirsi a Milano. E così restai
sedotto e abbandonato!
Una di questa calde domeniche estive, mentre aspettavamo
l’arrivo delle “promesse”, stavamo pigramente appoggiati al muretto vicino
l’entrata della villa.
Improvvisamente volgendo lo sguardo a sinistra verso la via
Gianbattista Vico, dove abitavo, vidi in lontananza un tale che celermente
camminava con una stranissima postura. In pratica teneva entrambe le mani
appoggiate ai fianchi all’altezza della cintura formando un ampio arco con le
braccia. Istintivamente sgomitai il compagno al mio fianco e gli dissi:
“Guarda, guarda quello come cammina?!?!” I miei amici si girarono ed uno mi
rispose: “ E allora cosa c’è di strano? Probabilmente ha dolore ai fianchi e se
li comprime”. Un altro rispose “Ma va!!! Non vedi che non ha la cintura ai
pantaloni! Evidentemente gli cadono e se li tiene su con le mani”. “Secondo me
– dissi – c’è qualcos’altro scommettiamo?!?” Mentre eravamo presi in queste
filosofiche argomentazioni, il tale era giunto nelle nostre vicinanze al che
dissi ai miei amici “Beh sentite vado a chiederglielo”. Mi avvicinai
timidamente e ponendo davanti fermai i passi del tale ed in perfetto dialetto
sampaolese gli chiesi: “ Combà, scus…ma p’cchè cammiìn ‘ccuscì ch’i mèn e fiàngh?!?”
(Signore scusi, ma perché cammina in questo modo con le mai
sui fianchi).
Il signore mi guardò con uno sguardo tra l’adirato,
l’assente e l’inebetito. Poi chinò lo sguardo verso i fianchi e sbotto urlando:
“ Oh càzz….m’hànn fr’chèt i m’lùn” (
Perbacco, mi hanno rubato le angurie!)
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