sabato 22 dicembre 2012

ACCENDETE LA LUCE!!!!!!

 

Accendete la luce!

(‘pp’ccièt a lùc s’ nò m’ n’ vaji)

 Riuscire a parlare con una ragazza senza essere continuamente additato e criticato in quel periodo era una impresa impossibile a San Paolo.
Non vi era un posto dove si potesse stare tranquilli e isolati. Chiunque aveva in mente di iniziare il corteggiamento di una ragazza trovava sempre enormi difficoltà. Tutto cominciava sempre nella Villa comunale dove ci si scambiava i primi sguardi, i primi sorrisetti.
La domenica, in villa solo chi era ufficialmente fidanzato, poteva permettersi di accompagnare la propria ragazza nella passeggiata che solitamente si faceva nel tempo intercorrente tra la fine della messa ed il rientro a casa per il pranzo. I ragazzotti come noi, sempre a caccia, sedevano sulle fredde panchine osservando le prede libere che si pavoneggiavano mettendo in mostra il più possibile la “mercanzia”. Era un gioco di seduzione in cui spesso il cacciatore diventava preda. Un codice segreto di occhiate, risatine, ammiccamenti istintivamente noto.
Quando infine ci si era scelti, allora si tentava l’approccio! In genere la ragazza passeggiava avanti edindietro lungo la villa, mai da sola. C’era sempre una amica che doveva coprirla con i genitori. Il perché era molto semplice: al primo avvicinamento di un “maschietto” non si sa come ma …forse il vento portava la notizia ai genitori della ragazza i quali sentivano subito il dovere di mostrarsi preoccupati per la  propria figlia. L’amica, quindi,  serviva a rassicurare i genitori che non fosse  successo nulla. (Tanto i genitori sapevano già tutto essendoci passati prima loro). Il ruolo dell’amica oltre a tranquillizzare  i parenti serviva anche alla ragazza come copertura nel caso in cui i due promessi si fossero appartati per scambiarsi le prime affettuosità. Si diceva che  “mant’név a cannél” Purtroppo in un paese piccolo come il nostro, le malelingue la fanno da padrona e la maldicenza correva più veloce della luce.
Bastava soltanto avvicinarsi ad una ragazza che o si finiva “fidanzati” oppure si diventava “un poco di buono” lui; “una ragazza facile” lei. Una sana esperienza, una pura amicizia, neppure si poteva immaginare. E’ normale che in questa condizione era praticamente impossibile vivere dei momenti di intimità o fare quelle esperienze di innamoramento tipiche dell’adolescenza. Pertanto come succede sempre in questi casi “necessità aguzza l’ingegno”.
Per crearsi dei tempi e degli spazi per stare da soli tra loro, si sono inventate le feste in casa.
Praticamente tra le future coppiette, chi aveva disponibilità di un locale vuoto, organizzava una festa di compleanno.  A tale proposito ho assistito a casi di ragazzi e ragazze che nell’arco di un anno hanno compiuto gli anni tre o quattro volte. Qualsiasi scusa era buona: il compleanno, l’onomastico, la promozione eccetera.
Occorrevano delle sedie disposte lungo i muri del locale, un giradischi anche malandato, una buona comitiva. E sì perché bisognava anche tenere occupate le “amiche” delle prescelte! Gli amici servivano anche a questo. La “festa” iniziava in genere o nel pomeriggio o più spesso la sera dopo le sette e mezza, otto.
Si capiva lontano un miglio che era tutta una scusa, infatti i balli più in voga erano “i lenti”.
Ci si avvinghiava stretti stretti   in modo da poter “sentire” ogni più piccola parte anatomica del corpo .
Immediatamente si formavano le coppie. Erano le prime esperienze di contatto anche fisico tra i due sessi in una età in cui gli ormoni hanno il sopravvento sulla ragione. Una età difficile che a noi nessuno aveva spiegato.
C’era tra i presenti un tacito accordo. Ad un certo punto della serata, inspiegabilmente, capitava un cattivo funzionamento dell’impianto elettrico. In realtà qualcuno “spegneva” la luce. Subito si udivano i gridolini delle ragazze – non tutte in verità – “ Méh, chi è stèt?  Jà ‘ppccièt a lùc! “  e immediatamente tornava a funzionare l’impianto elettrico. Passati cinque minuti la cosa si ripeteva. Nel frattempo, qualche coppietta si appartava e qualcuna delle ragazze fingeva di urlare “Vagliù o ‘pp’ccièt a lùc o m’ n’ vaji!”. Una volta….due volte….poi silenzio!
Era il segnale che le coppiette si erano tutte sistemate e stavano amoreggiando. E questa situazione andava avanti sino a quanto non arrivava l’ora di chiudere la festa. Certo perché non si poteva mai fare tardi come succede oggi.
Quando finalmente le luci riprendevano vita si scoprivano gli accoppiamenti. Si potevano vedere visi rosso cremisi, capelli scompigliati ed a volte abiti malmessi, quando ci si spingeva un po’ oltre.
Quanti ragazzi ho visto innamorarsi in questo modo e quanti ne ho visto poi diventare marito e moglie.
Sotto questo aspetto io sono stato molto sfortunato.
In quel periodo infatti ero un seminarista. Stavo studiando nei Padri Comboniani a Troia in provincia di Foggia per diventare prete ed andare missionario in Africa.
Per questo motivo raramente ho partecipato a questi incontri. Un paio di volte è capitato anche a me di essere travolto dagli ormoni dell’età ed ho partecipato anch’io. Devo dire che l’esperienza è stata interessante. Ho imparato a conoscere un corpo diverso dal mio ed ho trovato in questo modo una amica.
La ragazza di San Paolo di cui ero segretamente innamorato non ho mai avuto l’opportunità di invitarla a queste “feste”. Ci ho fatto delle interminabili passeggiate fianco a fianco nella villa, ma non ho mai trovato la forza di vincere la mia timidezza e di confessarle il mio innamoramento. E’ stato meglio così perché tornando a casa una estate non la trovai più in paese. Si era trasferita a Milano e non l’ho rivista più.

 

giovedì 20 dicembre 2012

CARTOLINA

 
Cartolina
 
Scalzo ho corso tra filari
di malvasia inseguendo
lucertole veloci.
Scure come zolle calpestate
o verdi come foglie della vite
che le nascondeva.
A piedi nudi ho calcato
Pietre Nere, scogli lungo
la battigia,
lacerandomi la pelle.
L’acqua salata
del mare ha disinfettato
le ferite
Il sole, unico compagno,
ha asciugato e dissolto
la mia rabbia e il mio
dolore.
Corpo e anima ho purificato
ad Acqua Rotta
sfidando in gara gli orizzonti.
Nostalgico il suono d’una
armonica
risveglia nella mente
il sibilo del vento
tra le canne  che costeggiano
il Fortore
Amo la mia terra
come Foscolo Zacinto!
Ho imparato ad ascoltare
le favole dei vecchi.
Storie che non hanno età
Tocca  ora a me narrarle
ancora!
E perpetuare il sogno.

SI IMPARA SEMPRE DOPO!

 
 

Si impara sempre dopo

Il lunedì per me era veramente un dramma! A casa mia si mangiava una volta al giorno e quasi sempre di sera quando anche mio padre rientrava dal lavoro. C’era un menù che nessuno aveva deciso, ma da tutti sembrava tacitamente condiviso. Il menù si ripeteva settimanalmente.
Tutte le mattine si cominciava la giornata con una bella tazza di latte caldo con dentro il pane raffermo diventato troppo duro. Non sapevamo neanche cosa fossero i biscotti! Mai fatto colazione con la presenza di mio papà anche perché a quell’ora, lui aveva già fatto almeno tre ore di lavoro.
Di solito al mezzogiorno, dopo la scuola, si mangiava pane e pomodoro con olio e sale.
Ne mangiavo tanto, sia con il pane a fette sia con quello che dialettalmente si chiamava “ u cuzzètt”.
In pratica, da una forma rotonda di pane si taglia un pezzo e si scava la mollica fino a ricavarne un foro centrale. Poi si bagna ben bene il bordo con dei pomodorini spremuti la buccia dei quali viene inserita nel foro praticato togliendo la mollica. Si procede in questo modo sino ad inzuppare abbondantemente il bordo del pane con tre o quattro pomodori. Poi si innaffia tutto con olio d’oliva rigorosamente Sanpaolese e con sale. Volendo si può aggiungere a piacere alcuni fiocchi di origano ed il  pranzo è servito!
Questo era il mio pranzo quasi tutti i giorni della settimana esclusa la domenica.
E con lo stesso sistema si poteva riempire il pane con qualsiasi altra cosa commestibile.
La sera però, quando il capofamiglia rientrava dal lavoro, si mangiava tutti insieme. Era un momento solenne e molto importante. La famiglia tutta si riuniva attorno al tavolo. Mamma, papà, i nonni ed anche fratelli e sorelle. Nessuno doveva tardare o mancare. Io che ero il più piccolo dovevo aiutare ad apparecchiare insieme a mia sorella che, in quanto donna, condivideva con la mamma tutte le incombenze di casa. Sin da piccolo mi sono sempre ribellato a questa situazione e ricordo di avrene prese tante, non solo da mio padre, ma anche da mia madre. Fortuna che c’era mia nonna che mi ha sempre fatto da scudo. Da piccolo ricordo che non avevamo ognuno il proprio piatto, ma era uso mangiare attingendo tutti da uno stesso piatto posto centralmente nel tavolo. Ora si capisce subito che quando c’era qualcosa di buono si faceva a gara in velocita di presa. Il piatto dal centro del tavolo sembrava animarsi come in una seduta spiritica e muoversi velocemente in diverse direzioni a seconda di chi allungava la forchetta.
Io, essendo il più piccolo ed anche il più corto di braccia, spesso e volentieri restavo spiazzato. Così ho imparato che la sera bisogna stare “leggeri”….a volte addirittura digiuni! Tuttavia ero avvantaggiato da questo quando si cucinavano pietanze poco appetite.
Poi una sera anche mia madre cominciò ad usare i piatti singoli e mi divenne difficile mascherare di non gradire certi piatti. Il menù settimanale prevedeva: Il lunedì verdura, di qualsiasi tipo: Cicorie raccolte in campagna, verza, cavoli oppure “ i sìn’p” i “mariùl”  e chi più ne ha più ne metta, ma tutto rigorosamente colto dal nostro campo. Il martedì c’era la pastasciutta come pure il giovedì. Mercoledì e venerdì si cucinava pasta con legumi ( fagioli, ceci, circerchie, lenticchie e fave). A volte il venerdì mia madre cuoceva il pesce, ma molto di rado perché, come la carne, costava troppo.  Il sabato di solito era brodo o pasta con le patate. La domenica era festa grande prima. Si mangiava tutti insieme anche a mezzogiorno e soprattutto perché mia madre cucinava la pastasciutta con il sugo di carne e per secondo mangiavamo la carne cotta nel sugo. Il sugo fatto con il “castrato” era buonissimo anche se molto grasso. Ci inzuppavamo abbondantemente il pane e ed alla fine avevamo tutti il muso che sembrava come se avessimo messo il rossetto. La carne, come il pesce, non era nelle nostre possibilità quindi la mangiavamo una volta alla settimana. Anzi addirittura per abbattere i costi, mia madre allevava sul terrazzo le galline. Poi si affezionava ed ogni volta che doveva ucciderle era un dramma. Una volta riuscì a farsi regalare un agnello che allevò con tanto amore. Gli aveva messo nome “munachèll” e si era talmente affezionata che non riuscì ad ucciderla…ma la diede al macellaio affinché provvedesse lui.
Come dicevo all’inizio, per me il lunedì era una giornata di calvario. Non volevo assolutamente mangiare le verdure e soprattutto le cicorie di campagna che hanno quel gusto amarognolo che non riuscivo a digerire. La mamma le cuoceva insieme a dei pomodorini e ci metteva alla fine dell’olio crudo fatto con le olive del nostro uliveto “nelle coppe”. Brodose affinché ci inzuppassimo il pane duro, ma per me era un dramma ogni volta. E siccome “ o mangi questa minestra o salti dalla finestra!” ogni volta prendevo tanti di quegli schiaffoni e piangevo tante di quelle lacrime che a volte veramente avrei preferito uscire dalla finestra.
Quanto rimpiango quel sano mangiare di allora!  Quei sapori, quel gusto di cose semplici ma sane oggi le desidero ma non riesco più a trovarle. Eppure mi reputo fortunato perché ho sposato una donna della mia terra che è molto brava in cucina, ma il tempo oggi è tiranno. Sono spariti i mercati di quartiere oggi è tutto “supermercato”.  Il cibo che da bambini serviva per crescere, spesso oggi è la causa di molte malattie che portano alla morte.. Oggi tornerei volentieri nei campi a raccogliere le cicorie , “i vampascùl”  “ i lattuchèll” e la frutta! Le mele cotogne, “i pera paccùn” i cascavìll “i m’lèll”  “i fìcura San Pìtr”  “ i trìgn”. Tornerei volentieri a riapprezzare quei sapori, prenderei ancora volentieri degli schiaffoni per avere quelle cicorie. Non per un romantico ritorno all’età dei giochi, ma solamente perché ho capito troppo tardi quello che avevo perso. Purtroppo si impara sempre dopo!
Anche questo fa parte del gioco della vita.


domenica 16 dicembre 2012

ESCI FUORI VILLANO INCAPPUCCIATO!!!!

 
 
 

Il morso dell’asino

Il secondo anno di liceo è stato indubbiamente il più bello. Eravamo una classe ben amalgamata ed assortita.
Di estrazione sociale molto variegata, avevamo impiegato il primo anno a conoscerci ed ad apprezzarci reciprocamente. In quel periodo, era il 1973, l’onda lunga delle lotte studentesche partite dal maggio del ’68 francese arrivò anche a Bari e c’era tutto un fermento, una fioritura di gruppi e gruppuscoli sia di destra che di sinistra. Neppure  il Liceo Classico, da sempre scuola elitaria frequentata dai figli della ricca borghesia, rimase immune dalla voglia di rinnovamento e di contestazione di quegli anni. Era l’età  in cui tutto sembrava possibile persino rivoluzionare, anche violentemente, modi e situazioni vecchi di centinaia d’anni. Potevamo ancora sognare di cambiare il mondo! Potevamo sognare “il futuro”!!!

Con il mio collega di seminario Giuseppe B. eravamo arrivati a Bari dopo aver concluso il Ginnasio al “Lanza” di Foggia. C’era poi un nutrito gruppo di “rossi” Lia T., Maurizio S., qualche liberale – Ugo M. e molti all’epoca definiti i catto-comunisti vicini all’associazione Mani Tese nata da poco e tra questi Donatella R, mia compagna di banco. Iniziammo la prima liceo nella sede del “Liceo Ginnasio Quinto Orazio Flacco”, ma quasi subito in primavera ci trasferirono alla succursale “nuova” che si sarebbe in seguito staccata e sarebbe diventata “il Socrate”. Al secondo anno avevamo mantenuto gli stessi professori del primo. Di tutti ricordo il professore di greco Rocco L., un socialista “vecchia maniera” alla Pertini a cui devo molto. Ho imparato da lui l’onesta intellettuale, l’amore e la ricerca della verità e la lotta per il rispetto e la libertà di chiunque. Ricordo la prof di matematica Di Cosola, alla quale con una geniale intuizione  dimostrai che 1+1 non fa 2 bensì  un “uno”  più grande! Con un artificio dialettico e mischiando Fisica e  Matematica dimostrai che una forza + una seconda forza, non formano due forze ma una unica forza più grande in quanto la risultante altro non è che la somma delle due singole forze. Allora la prof Di Cosola disse: " Ma così mi demolisci i principi della matematica" e tutta la classe scoppiò in una fragorosa risata.

Potrei continuare ancora, ma non voglio dilungarmi oltre in questo. Voglio raccontare di quella volta che il professore di Italiano, mi cacciò fuori in corridoio. Debbo premettere che il mio posto era in prima fila con a fianco una ragazza, la Donatella R. Questo perché nessuno voleva mai sedersi in prima fila e quindi democraticamente avevano deciso i miei compagni che in quel posto dovevo andarci io! Nel banco dietro il mio c’erano ancora due ragazze. Grazia L. e Valentini. Queste due, facendosi scudo di me, ed approfittando del fatto che non potevo reagire me ne combinavano di tutti i colori. Mi tiravano su i vestiti…mi infilavano robe fredde su per la schiena o giù nei pantaloni ed io dovevo rimanere immobile per non farmi scoprire dal prof che era in cattedra.
Quel giorno, ricordo molto bene, stavamo leggendo i Promessi Sposi nel passaggio in cui Don Rodrigo riceve la visita di Frà Cristoforo che dopo una discussione ad un certo punto alza la mano destra come per voler lanciare una “maledizione”  e Don Rodrigo afferrandogliela esclama: “escimi di tra' piedi, villano temerario, poltrone incappucciato”.
Eravamo a questo punto quando avvenne il fattaccio che mi appresto a dire.
Ne avevo subito di ogni ed ero rimasto impassibile da buon seminarista. Ad un certo punto mi accorsi che Grazia L. seduta proprio alle mie spalle indossava una gonna e lasciava vedere delle belle e polpose gambe. Tra di noi in quel periodo era uso acchiapparci l’interno coscia con la mano destra è stringere di colpo la carne gridando
“ Il morso dell’asino!!!!”. Era una cretinata, ma del resto l’età era proprio quella delle cretinate!
Fui preso da raptus improvviso. Cercando di rimanere immobile il più possibile con il tronco, approfittando del fatto che il prof era impegnato nella lettura del passo e non guardava, allungai la mano destra all’indietro, la infilai tra le gambe della Grazia L e strinsi con forza la coscia. La ragazza sobbalzò di scatto ed il prof alzò immediatamente gli occhi dal libro richiamato da quell’improvviso movimento.
Non gli ci volle molto a capire l’accaduto. Lo vidi diventare paonazzo, alzò il braccio destro e puntando minaccioso l’indice verso di me urlo: “ Esci fuori! Villano incappucciato!” Il professore era stravolto ed io non cercai nemmeno le solite scuse di rito. Mi alzai ed a testa bassa passai le ulteriori ore della lezione nel corridoio.
E quella fu l’unica volta nella mia vita di studente.


sabato 15 dicembre 2012

GLI AFFARI SONO AFFARI - SACRIFICATI I DUE MARO'







 
 Gli affari sono affari
La situazione dei due marò reclusi in attesa di giudizio in India sta letteralmente divenendo insopportabile! Quanto accaduto oltre ad essere poco chiaro, rischia ancora una volta sacrificare due persone alla spregiudicata logica del “business is business”. Cosa è successo il 15 di febbraio del 2012 nelle acque al largo di Kerala? Quel 15 febbraio nell’Oceano Indiano sono stati uccisi 2 pescatori indiani scambiati per pirati. Qualcuno che si trovava a bordo di una nave mercantile ha fatto fuoco contro un peschereccio sul quale erano imbarcati dei pescatori uccidendone due. Quel giorno c’erano ben quattro navi mercantili in quelle acque. Ma che testimonianze ci sono dell’accaduto?
L’equipaggio della nave italiana non può testimoniare, in quanto insieme al comandante si erano rifugiati, come da prassi, nella camera di sicurezza a bordo. I compagni di lavoro dei due pescatori uccisi non possono testimoniare in quanto erano a dormire sotto coperta (strano per essere dei pirati). Eppure le autorità indiane dello stato del Kerala ritengono responsabili di questo duplice omicidio due marò del Battaglione San Marco imbarcati, insieme ad altri quattro, come Nucleo Militare di Protezione anti pirati a bordo della nave italiana Enrica Lexie. I nostri fanti di marina si trovavano a bordo della nave commerciale italiana in ottemperanza a una legge italiana di contrasto alla pirateria marittima, la Legge 130 e di una convenzione firmata tra il ministero della Difesa e la Confederazione degli armatori italiani, Confitarma. Ma a sparare furono davvero i due marò?
Nel rapporto consegnato in un primo momento dai membri dell'equipaggio dell'Enrica Lexie alle autorità indiane e italiane (entrambi i Paesi hanno aperto un'inchiesta) si specifica che Latorre e Girone hanno sparato tre raffiche in acqua, come da protocollo, man mano che l'imbarcazione sospetta si avvicinava all'Enrica Lexie. Gli indiani sostengono  invece che i colpi sono stati esplosi con l'intenzione di uccidere, mostrando 16 fori di proiettile sulla St. Antony. Gli esami hanno confermato che a sparare contro la St. Antony furono due fucili Beretta, come quelli in dotazione ai marò. Stranamente però sui corpi delle due vittime viene effettuata l'autopsia la notte del 15 febbraio ed il 17 mattina vengono entrambi sepolti. Tutto fatto molto in fretta e soprattutto senza la presenza della controparte italiana. Cosa rende così sicuri gli inquirenti indiani?
Inoltre il mercantile era ormai al largo, in acque internazionali, quando le autorità indiane hanno chiesto di tornare nel porto di Kochi. Il comandante della nave poteva anche ignorare il comando e non rientrare. Anzi, la Marina Italiana aveva ordinato ad Umberto Vitelli, capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani. Il capitano asseconda invece le richieste delle autorità indiane. Perché allora il capitano rientra? Chi gli ha ordinato di rientrare?! Ad ordinare il rientro è stato l’armatore Luigi D’Amato, o chi per lui.
Al telefono la compagnia avrebbe detto a Vitelli: “Fate come dicono loro, tornate a Kochi“.
La Enrica Lexie è una nave della Società Armatrice Fratelli D’Amato Spa di Napoli e il legame della società con l’India è forte. La società armatrice riceve da questo Paese asiatico annualmente numerose commesse legate al trasporto di ‘crude oil’ e non solo. Eccolo quindi cosa si nasconde dietro questa “tragedia”. Non deteriorare ulteriormente i proficui rapporti commerciali in essere. E cioè, ancora una volta  sacrificare vite umane alla logica del profitto. Ecco il motivo per cui, anche lo Stato Italiano, in questo contesto sta dimostrando tutta la propria debolezza. La Fratelli D’Amato Spa di Napoli è la stessa società della petroliera ‘Savina Caylyn’ sequestrata, dirottata e trattenuta per quasi 11 mesi, dal mese di febbraio del 2011 fino al mese di dicembre dello stesso anno, dai pirati somali che per il rilascio hanno preteso un riscatto milionario. Secondo il sito Somalia Report, che cita fonti dei pirati, per il rilascio della petroliera sarebbe stato pagato un riscatto di 11,5 milioni di dollari. Il riscatto sarebbe stato pagato in due tranche: la prima, di 8,5 milioni di dollari, è stata consegnata oggi alle prime ore della mattina con un elicottero a bordo della nave. La seconda tranche, di tre milioni di dollari, è stata consegnata alle 12:30 (le 10.30 Italiane).
La Enrica Lexie  si trova ora alla fonda nel porto di Kochi nel Kerala guardata a vista da motovedette della marina locale, praticamente sequestrata dalle autorità locali indiane.
A bordo, oltre ai due marò a terra in carcere,  vi erano anche altri 9 cittadini italiani, 5 marittimi, parte dei membri dell’equipaggio, tra cui il comandante Umberto Vitelli, e 4 militari della marina italiana, parte del NMP imbarcato. Vi è poi la questione della territorialità e della giurisdizione.
Secondo i dati recuperati dal GPS della petroliera italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l'Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta “zona contigua”.
Il diritto marittimo internazionale considera “zona contigua” il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.
Secondo la legge italiana ed i suoi protocolli extraterritoriali, in accordo con le risoluzioni dell'Onu che regolano la lotta alla pirateria internazionale, i marò a bordo della Enrica Lexie devono essere considerati personale militare in servizio su territorio italiano – la petroliera batteva bandiera italiana – e dovrebbero godere quindi dell'immunità giurisdizionale nei confronti di altri Stati.
La legge indiana dice invece che qualsiasi crimine commesso contro un cittadino indiano su una nave indiana – come la St. Antony – deve essere giudicato in territorio indiano, anche qualora gli accusati si fossero trovati in acque internazionali. Vedremo cosa deciderà l’Alta Corte del Kerala.
Alcune considerazioni occorrono comunque.
La Convenzione tra Ministero della difesa e Cofintarma per l’utilizzo dei Nuclei Militari di Protezione, al punto 2.1 questo servizio viene fornito “per dare completezza alle azioni di sorveglianza condotte in mare dalle navi militari”.
Prima considerazione da fare: Poiché esiste già un servizio di sorveglianza militare in mare effettuato dalla Marina Militare a protezione dei trasporti marittimi in quelle zone, in questo specifico caso era necessario l’NMP ?.
Sempre al punto 2.1, poco oltre la Convenzione stabilisce che il Ministero della Difesa “…si rende disponibile a fornire all’armatore richiedente, subordinatamente alla disponibilità, un idoneo contingente di personale…..”
Seconda considerazione: Il personale per l’NMP impiegato era disponibile oppure, per espletare il servizio di protezione all’armatore napoletano, è stato sottratto ad altri eventuali compiti? In altre parole questo personale non poteva essere impiegato diversamente?
Al punto  4.5 la Convenzione recita: “ Il comandante del NMP informerà il Comandante della nave nel caso di feriti o naufraghi a seguito di conflitto a fuoco al fine di mettere in atto le opportune azioni di soccorso”. E poco oltre al punto 5.1 comma 2 recita: “Il Comandante della nave non è responsabile delle scelte inerenti le operazioni compiute nel respingimento di un attacco dei pirati”.
Terza considerazione: Visto quanto sopra, il  Comandante del NMP ha informato il Comandante della nave dello scontro avvenuto e delle due morti causate? E se il Comandante della nave, rientra in porto e consegna i due marò alle autorità indiane, significa forse che effettivamente le cose sono andate come sostengono le autorità indiane? Ed infine a che pro sono stati versati alle famiglie dei due pescatori deceduti circa trecentomila euro cadauna per convincerle a ritirare la denuncia?
Non può apparire questo come una ammissione di colpa?
Infine occorre ribadire che in situazioni simili non può essere lasciato nelle mani dell’armatore (che ovviamente antepone il profitto e il mantenere ottimi rapporti commerciali con la controparte ) la facoltà di decidere le azioni della nave quanto questa è sotto tutela militare della Marina, ma soprattutto quando è in corso un evento militare.
Tutto è molto confuso; la verità non è ancora stata acclarata! Certo è che se i due maro sono innocenti perché non hanno commesso il fatto allora il Governo Italiano sta dimostrando una debolezza internazionale che non ha senso. Se al contrario, è stato davvero un incidente allora sarebbe più opportuno dire apertamente come sono andate le cose. Non vorrei mai pensare che quanto accaduto sia stato deliberatamente e consapevolmente causato.
La verità la conoscono solo i presenti, certo è che di confusione se ne sta facendo tanta e soprattutto a danno dei due prigionieri.


sabato 8 dicembre 2012

AMORE CRIMINALE

 
Dedicato alla neo mamma di 22 anni uccisa in provincia di Udine il giorno dell'Immacolata ennesima vittima di una sottocultura che ritiene la donna "oggetto e proprietà esclusiva" dell'uomo.
Amore Criminale
Immacolata!
Giorno di festa.
Immacolato il prato sotto
la coltre di neve caduta
nella notte.
Rosso e infreddolito il petalo
d’un fiore richiama
l’attenzione nel candore.
Nel grigio opaco che attanaglia
l’aria, posso sentire nella carne
posso udire nella mente
il dolore d’una rosa fiorita
prematura all’infido sole
di dicembre.
Cristallizzata a morte
dal primo gelo di questo
freddo inverno.
Corrono ed inciampano
 i pensieri.
Amore Criminale
Ma cos’ha d’amore un atto
ch’è solo criminale?
E mi vergogno d’essere parte
di quel genere che uccide
E dico grazie a Dio per la
mia diversità!
 

venerdì 7 dicembre 2012


 
 
Canzone d’amore
Quando adagi il tuo
capo sul mio petto
il cuore si scatena nel suo
ritmo!
Quando sfiori con
la mano la mia bocca
il respiro accelera il suo corso
Quando intrecci le tue
gambe con le mie
nelle vene il sangue aumenta
le pulsioni
Tutto come il primo giorno!
Sei la canzone più bella
che ancora ho voglia
di cantare.
Colonna sonora della
vita mia!
Sei le parole che mi soffi
nella mente.
Poesia sempre nuova
che ancora dovrò scrivere
Sei alba che rinasce ogni
mattino.
Tramonto infuocato d’ogni
mia sera.
Unica rosa dentro il mio
giardino
Tu sei l’amore!
Ed io posso farlo solo
con te!




 

PREGHIERA DI NATALE

 

Il mondo che vorrei

Vorrei un mondo dove le bombe
siano stupide e non intelligenti.
Dove “ a grappolo” ci fosse solo
l’uva.
Dove i carri siano armati
di un sorriso un abbraccio
e una carezza.
Vorrei un mondo dove ognuno
possa bere acqua solo se ce n’è
per tutti.
Possa avere pane solo se tutti
hanno da mangiare
Vorrei vivere in un mondo
dove chi possiede un aratro
insegni a tracciare il solco ed
a seminare.
E non ci voglia alcuna
spada per difenderlo!
Vorrei un mondo dove una
donna possa guardare
negli occhi un uomo senza
sentirsi oggetto o preda.
Un bimbo possa giocare
sereno senza tema d’essere
olocausto a morbose voglie.
Vorrei un mondo dove si
possa correre forte come una
lumaca
o andar veloce come una
tartaruga.
Un mondo che abbia tempo
per guardare il cielo
stellato, un’alba radiosa
le montagne ed il mare
Vorrei un mondo dove
nessuno sia nemico.
Un mondo dove il lavoro
serva per la vita
e non sia la vita a consumarsi
per lavoro.
Vorrei un mondo nuovo!
dove a volte il sole
possa nascere da Ovest!

giovedì 6 dicembre 2012

LO STRANO NATALE DEL 2012

 

Lo strano Natale del 2012

Non so dirvi dove mi trovavo, se stavo sognando o ero sveglio. So di sicuro che era il 24 dicembre del 2012 e mancavano circa due ore alla mezzanotte e quindi al Natale. Se tutto quello che scriverò è stato solo un sogno beh vi giuro che è stato così verosimile che mi è sembrato reale.

No! Il mondo non era terminato il 21-12-2012 come era stato previsto dalla profezia maya.

Stavo transitando in un  vicolo e l’atmosfera mi sembrava molto particolare. Non trovo le parole adatte per descriverla….Avete presente quelle sere fredde di dicembre con le strade ed i tetti delle case coperte di soffice neve bianca. Ovattata, magica con un silenzio tanto forte da poter udire gli scatti delle intermittenze dei filari delle lucine  appesi ai balconi.

Sentivo da lontano qualcuno che alzava la voce impegnato in una discussione molto animata.

Mi avvicinai alla finestra e tentai di osservare, senza esser visto,  chi fossero i partecipanti e quali le ragioni della discussione.

“Dai forza che manca poco alla mezzanotte! Sbrigati, non arrivare sempre all’ultimo momento”! diceva quello che sembrava essere il più vecchio del gruppo. L’altro, quello più giovane con i capelli e la barba lunghi e biondi, sembrava alquanto irritato. Mentre un terzo restava in un angolo nascosto e silenzioso.

“No, papà quest’anno non ci vado. Ma non vedi che questi  continuano a  far finta di non capire!

Ogni anno giunti a questo giorno  ripetiamo la stessa liturgia! Penso sia ora di smetterla! Questi non lo capiranno mai. Gli abbiamo dato un giardino, la terra, e sono riusciti a depredarne talmente le risorse da portarla ormai al collasso. Gli abbiamo insegnato che le risorse vanno condivise e questi sono continuamente in guerra tra di loro per accaparrarsi le posizioni migliori. Abbiamo provato anche con le punizioni dure molte volte. Ricordi il Diluvio Universale, Sodoma e Gomorra…. Tutto inutile”!

“Vero – disse il terzo dal suo angolo – Hai ragione però in fondo considera che sono fatti di terra….. e poi ci vuole tempo per capire certe cose”.

Tempo!?!?  – sbottò il più giovane – Ma se son passati oltre duemila anni!  E poi dici che sono fatti di terra, ma se Lui gli ha dato pure l’intelligenza!?!  Pensate che non siano capaci di usarla?!  Tu, proprio tu – disse rivolto al vecchio – Mi hai mandato sulla terra, mi hai fatto diventare come uno di loro. Ho cercato di fargli “vedere” cosa bisognava fare. E loro?!?  Mi hanno appeso ad una croce. Sentite, lasciamo perdere questa specie e ricominciamo  il progetto con una nuova. Non ho voglia di continuare ogni anno a ripetere tutto per finire ancora sulla croce. Adesso basta!!! Se la cavino da soli….visto che sono tanto prepotenti e pieni di sé”.

“Basta lo dico io – replicò l’anziano –  Sei sempre il solito. Sempre lì a contestare. Bisogna dargli tempo ed aiutarli. Cosa sono in fondo duemila anni?!  Vedrai che alla fine capiranno”

Mentre continuava questa discussione, improvvisamente, si sentì il pianto di un neonato. Proveniva dall’entrata della casa. Tutti fecero silenzio ed il pianto ora era ben chiaro.

Insieme i tre aprirono l’uscio e adagiato sul tappeto c’era un mucchietto di stracci con dentro un “cucciolo d’uomo” sfornato da poco.

Il più anziano dei tre, il Padre, prese tra le braccia quel ripieno di stracci e lo portò all’interno al calduccio. Poi rivolto al Figlio disse: “ Vedi, almeno tu sei più fortunato! Hai una stalla, un mangiatoia con il bue e l’asinello. Hai una mamma ed un papà. Lui non ha nessuno”. Così dicendo glielo porse ed il Figlio prendendolo tra le braccia, spostando con la mano i pochi stracci, si accorse che il “cucciolo d’uomo” aveva smesso di piangere ed un sorriso raggiante illuminava il viso. Allora il Figlio si commosse ritornando sulla decisione di non voler più nascere a Natale. Intanto si era fatta  mezzanotte!

Gesù nacque anche quell’anno grazie al sorriso d’un bambino. Sapendo già da allora che sarebbe morto  ancora sulla croce!.