mercoledì 12 settembre 2012
U p’zzùch ( Il piantatoio)
Finita la quinta elementare, per poter continuare a studiare, io ed altri due miei compaesani entrammo in seminario a Troia, una cittadina in provincia di Foggia, presso l’Istituto de Padri Comboniani. Restavamo in seminario per tutto il periodo scolastico, terminato il quale ci veniva concesso di rientrare presso le nostre famiglie e trascorrere il periodo delle vacanze estive.
Erano comunque tempi difficili ! La retta in istituto, che all’epoca era di circa centocinquantamila lire l’anno. Poi bisognava comprare i libri di scuola. Per noi non erano delle vere vacanze. Bisognava trovare dei piccoli lavori da fare per aiutare la famiglia a sopportare tali spese. Infatti io preferivo andare a lavorare in campagna, se trovavo da lavorare o in alternativa, andare con mio padre per aiutarlo nei suoi lavori di contadino. Quasi tutto il periodo estivo lo si passava in questo modo e poi si rientrava in seminario per riprendere gli studi.
E’ stato così per tutte le estati dal ’66 in avanti.
Un’estate, ricordo, che non riuscivo a trovare nulla da fare. Il lavoro che facevo di solito, quello di andare ad innaffiare le barbabietole da zucchero, era già tutto assegnato ed era difficile potervi accedere. Bisognava solo sperare che qualcuno si ammalasse per poterlo sostituire. E con questa speranza, nel frattempo, mi misi appresso a mio padre per aiutarlo.
Mio padre ha sempre lavorato la campagna: la sua per prima e poi, come bracciante, anche quella degli altri compaesani.
Quel giorno di luglio però era libero ed allora decise di andare nelle nostre terre.
Aveva una vigna piantata in località “U Trentìn” e quel giorno ci andammo per vedere come stava la vigna. Nei giorni prima aveva piovuto ed il terreno era ancora morbido per l’abbondante pioggia. Ad un certo punto, camminando nella vigna eravamo quasi arrivati alla fine
dei filari. Oltre i filari vi era ancora un pezzo di terra libero da piantagioni. Proprio in quel pezzo di terra mio papà stava pensando di fare qualcosa perché ad un certo punto mi disse. “ Va ‘ndò pagghjèr, pigghje u p’zzùch e purt’l qua”. (Vai al casolare, prendi il “piantatoio e portalo qua). Quasi a metà del campo e dei filari della vigna mio padre aveva costruito una specie di casetta alla buona che serviva più che altro per ripararsi dalle intemperie e per riporre gli attrezzi alla sera. Questo era dunque “u pagghjèr”. Li dentro doveva trovarsi “u p’zzùch !!
Mi girai di scatto e cominciai a camminare lentamente pensando tra me e me : “ma cosa cavolo è che devo prendere……Anzi, sembrerà strano, ma anche i miei pensieri mi venivano in dialetto sampaolese. “……. Che cazz jè stu p’zzùch??? ‘npò jess u p’zzùch da sègg,….. e n’ha jèss mang u p’zzùch da skèl” ( Cosa cavolo è “u p’zzùch??? Non può essere il piolo della sedia… non deve essere neanche il piolo di una scala). Insomma non riuscivo a capire cosa servisse a mio padre. Intanto però ero arrivato alla casetta e non trovavo cosa prendere. Allora, sapendo già che lo avrei fatto incavolare, tornai indietro da mio padre e quando vi arrivai vicino gli chiesi “ Papà ma ch jè u p’zzùch”. ( Papà, ma cosa è che devo prendere). Mi guardò come se fossi un marziano e vidi che cominciava ad arrabbiarsi. Lo vidi andare con passo veloce verso la casetta e tornare con un pezzo di legno che aveva la forma di una elle. La parte lunga della elle era molto appuntita mentre la parte corta veniva usata come impugnatura.
Lo agitò in alto davanti ai miei occhi e mi disse. “ Ma tu d ‘ndò cazz sì!!!!. Quìst jè u p’zzùch. (Ma tu di dove sei!!! Questo è il piantatoio).
Dopo di che lo vidi impugnare quell’attrezzo, conficcare la parte lunga ed appuntita nel terreno e praticare un foro dentro il quale lasciò cadere qualcosa che aveva nella mano. Aveva seminato. Da quanto ebbi modo di vedere capii di cosa si trattava. Non ho più dimenticato da allora che, secondo il nostro dialetto sampaolese, u pzzùch era non solo il piolo della sedia e della scala, ma anche l’attrezzo che si usava per fare manualmente nel terreno la sede dove depositare il seme.
Se chiedete a chi ha ancora l’orto, credo che usi ancora oggi questa tecnica per piantare semi nel terreno.
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