sabato 22 dicembre 2012

ACCENDETE LA LUCE!!!!!!

 

Accendete la luce!

(‘pp’ccièt a lùc s’ nò m’ n’ vaji)

 Riuscire a parlare con una ragazza senza essere continuamente additato e criticato in quel periodo era una impresa impossibile a San Paolo.
Non vi era un posto dove si potesse stare tranquilli e isolati. Chiunque aveva in mente di iniziare il corteggiamento di una ragazza trovava sempre enormi difficoltà. Tutto cominciava sempre nella Villa comunale dove ci si scambiava i primi sguardi, i primi sorrisetti.
La domenica, in villa solo chi era ufficialmente fidanzato, poteva permettersi di accompagnare la propria ragazza nella passeggiata che solitamente si faceva nel tempo intercorrente tra la fine della messa ed il rientro a casa per il pranzo. I ragazzotti come noi, sempre a caccia, sedevano sulle fredde panchine osservando le prede libere che si pavoneggiavano mettendo in mostra il più possibile la “mercanzia”. Era un gioco di seduzione in cui spesso il cacciatore diventava preda. Un codice segreto di occhiate, risatine, ammiccamenti istintivamente noto.
Quando infine ci si era scelti, allora si tentava l’approccio! In genere la ragazza passeggiava avanti edindietro lungo la villa, mai da sola. C’era sempre una amica che doveva coprirla con i genitori. Il perché era molto semplice: al primo avvicinamento di un “maschietto” non si sa come ma …forse il vento portava la notizia ai genitori della ragazza i quali sentivano subito il dovere di mostrarsi preoccupati per la  propria figlia. L’amica, quindi,  serviva a rassicurare i genitori che non fosse  successo nulla. (Tanto i genitori sapevano già tutto essendoci passati prima loro). Il ruolo dell’amica oltre a tranquillizzare  i parenti serviva anche alla ragazza come copertura nel caso in cui i due promessi si fossero appartati per scambiarsi le prime affettuosità. Si diceva che  “mant’név a cannél” Purtroppo in un paese piccolo come il nostro, le malelingue la fanno da padrona e la maldicenza correva più veloce della luce.
Bastava soltanto avvicinarsi ad una ragazza che o si finiva “fidanzati” oppure si diventava “un poco di buono” lui; “una ragazza facile” lei. Una sana esperienza, una pura amicizia, neppure si poteva immaginare. E’ normale che in questa condizione era praticamente impossibile vivere dei momenti di intimità o fare quelle esperienze di innamoramento tipiche dell’adolescenza. Pertanto come succede sempre in questi casi “necessità aguzza l’ingegno”.
Per crearsi dei tempi e degli spazi per stare da soli tra loro, si sono inventate le feste in casa.
Praticamente tra le future coppiette, chi aveva disponibilità di un locale vuoto, organizzava una festa di compleanno.  A tale proposito ho assistito a casi di ragazzi e ragazze che nell’arco di un anno hanno compiuto gli anni tre o quattro volte. Qualsiasi scusa era buona: il compleanno, l’onomastico, la promozione eccetera.
Occorrevano delle sedie disposte lungo i muri del locale, un giradischi anche malandato, una buona comitiva. E sì perché bisognava anche tenere occupate le “amiche” delle prescelte! Gli amici servivano anche a questo. La “festa” iniziava in genere o nel pomeriggio o più spesso la sera dopo le sette e mezza, otto.
Si capiva lontano un miglio che era tutta una scusa, infatti i balli più in voga erano “i lenti”.
Ci si avvinghiava stretti stretti   in modo da poter “sentire” ogni più piccola parte anatomica del corpo .
Immediatamente si formavano le coppie. Erano le prime esperienze di contatto anche fisico tra i due sessi in una età in cui gli ormoni hanno il sopravvento sulla ragione. Una età difficile che a noi nessuno aveva spiegato.
C’era tra i presenti un tacito accordo. Ad un certo punto della serata, inspiegabilmente, capitava un cattivo funzionamento dell’impianto elettrico. In realtà qualcuno “spegneva” la luce. Subito si udivano i gridolini delle ragazze – non tutte in verità – “ Méh, chi è stèt?  Jà ‘ppccièt a lùc! “  e immediatamente tornava a funzionare l’impianto elettrico. Passati cinque minuti la cosa si ripeteva. Nel frattempo, qualche coppietta si appartava e qualcuna delle ragazze fingeva di urlare “Vagliù o ‘pp’ccièt a lùc o m’ n’ vaji!”. Una volta….due volte….poi silenzio!
Era il segnale che le coppiette si erano tutte sistemate e stavano amoreggiando. E questa situazione andava avanti sino a quanto non arrivava l’ora di chiudere la festa. Certo perché non si poteva mai fare tardi come succede oggi.
Quando finalmente le luci riprendevano vita si scoprivano gli accoppiamenti. Si potevano vedere visi rosso cremisi, capelli scompigliati ed a volte abiti malmessi, quando ci si spingeva un po’ oltre.
Quanti ragazzi ho visto innamorarsi in questo modo e quanti ne ho visto poi diventare marito e moglie.
Sotto questo aspetto io sono stato molto sfortunato.
In quel periodo infatti ero un seminarista. Stavo studiando nei Padri Comboniani a Troia in provincia di Foggia per diventare prete ed andare missionario in Africa.
Per questo motivo raramente ho partecipato a questi incontri. Un paio di volte è capitato anche a me di essere travolto dagli ormoni dell’età ed ho partecipato anch’io. Devo dire che l’esperienza è stata interessante. Ho imparato a conoscere un corpo diverso dal mio ed ho trovato in questo modo una amica.
La ragazza di San Paolo di cui ero segretamente innamorato non ho mai avuto l’opportunità di invitarla a queste “feste”. Ci ho fatto delle interminabili passeggiate fianco a fianco nella villa, ma non ho mai trovato la forza di vincere la mia timidezza e di confessarle il mio innamoramento. E’ stato meglio così perché tornando a casa una estate non la trovai più in paese. Si era trasferita a Milano e non l’ho rivista più.

 

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