sabato 15 dicembre 2012

GLI AFFARI SONO AFFARI - SACRIFICATI I DUE MARO'







 
 Gli affari sono affari
La situazione dei due marò reclusi in attesa di giudizio in India sta letteralmente divenendo insopportabile! Quanto accaduto oltre ad essere poco chiaro, rischia ancora una volta sacrificare due persone alla spregiudicata logica del “business is business”. Cosa è successo il 15 di febbraio del 2012 nelle acque al largo di Kerala? Quel 15 febbraio nell’Oceano Indiano sono stati uccisi 2 pescatori indiani scambiati per pirati. Qualcuno che si trovava a bordo di una nave mercantile ha fatto fuoco contro un peschereccio sul quale erano imbarcati dei pescatori uccidendone due. Quel giorno c’erano ben quattro navi mercantili in quelle acque. Ma che testimonianze ci sono dell’accaduto?
L’equipaggio della nave italiana non può testimoniare, in quanto insieme al comandante si erano rifugiati, come da prassi, nella camera di sicurezza a bordo. I compagni di lavoro dei due pescatori uccisi non possono testimoniare in quanto erano a dormire sotto coperta (strano per essere dei pirati). Eppure le autorità indiane dello stato del Kerala ritengono responsabili di questo duplice omicidio due marò del Battaglione San Marco imbarcati, insieme ad altri quattro, come Nucleo Militare di Protezione anti pirati a bordo della nave italiana Enrica Lexie. I nostri fanti di marina si trovavano a bordo della nave commerciale italiana in ottemperanza a una legge italiana di contrasto alla pirateria marittima, la Legge 130 e di una convenzione firmata tra il ministero della Difesa e la Confederazione degli armatori italiani, Confitarma. Ma a sparare furono davvero i due marò?
Nel rapporto consegnato in un primo momento dai membri dell'equipaggio dell'Enrica Lexie alle autorità indiane e italiane (entrambi i Paesi hanno aperto un'inchiesta) si specifica che Latorre e Girone hanno sparato tre raffiche in acqua, come da protocollo, man mano che l'imbarcazione sospetta si avvicinava all'Enrica Lexie. Gli indiani sostengono  invece che i colpi sono stati esplosi con l'intenzione di uccidere, mostrando 16 fori di proiettile sulla St. Antony. Gli esami hanno confermato che a sparare contro la St. Antony furono due fucili Beretta, come quelli in dotazione ai marò. Stranamente però sui corpi delle due vittime viene effettuata l'autopsia la notte del 15 febbraio ed il 17 mattina vengono entrambi sepolti. Tutto fatto molto in fretta e soprattutto senza la presenza della controparte italiana. Cosa rende così sicuri gli inquirenti indiani?
Inoltre il mercantile era ormai al largo, in acque internazionali, quando le autorità indiane hanno chiesto di tornare nel porto di Kochi. Il comandante della nave poteva anche ignorare il comando e non rientrare. Anzi, la Marina Italiana aveva ordinato ad Umberto Vitelli, capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani. Il capitano asseconda invece le richieste delle autorità indiane. Perché allora il capitano rientra? Chi gli ha ordinato di rientrare?! Ad ordinare il rientro è stato l’armatore Luigi D’Amato, o chi per lui.
Al telefono la compagnia avrebbe detto a Vitelli: “Fate come dicono loro, tornate a Kochi“.
La Enrica Lexie è una nave della Società Armatrice Fratelli D’Amato Spa di Napoli e il legame della società con l’India è forte. La società armatrice riceve da questo Paese asiatico annualmente numerose commesse legate al trasporto di ‘crude oil’ e non solo. Eccolo quindi cosa si nasconde dietro questa “tragedia”. Non deteriorare ulteriormente i proficui rapporti commerciali in essere. E cioè, ancora una volta  sacrificare vite umane alla logica del profitto. Ecco il motivo per cui, anche lo Stato Italiano, in questo contesto sta dimostrando tutta la propria debolezza. La Fratelli D’Amato Spa di Napoli è la stessa società della petroliera ‘Savina Caylyn’ sequestrata, dirottata e trattenuta per quasi 11 mesi, dal mese di febbraio del 2011 fino al mese di dicembre dello stesso anno, dai pirati somali che per il rilascio hanno preteso un riscatto milionario. Secondo il sito Somalia Report, che cita fonti dei pirati, per il rilascio della petroliera sarebbe stato pagato un riscatto di 11,5 milioni di dollari. Il riscatto sarebbe stato pagato in due tranche: la prima, di 8,5 milioni di dollari, è stata consegnata oggi alle prime ore della mattina con un elicottero a bordo della nave. La seconda tranche, di tre milioni di dollari, è stata consegnata alle 12:30 (le 10.30 Italiane).
La Enrica Lexie  si trova ora alla fonda nel porto di Kochi nel Kerala guardata a vista da motovedette della marina locale, praticamente sequestrata dalle autorità locali indiane.
A bordo, oltre ai due marò a terra in carcere,  vi erano anche altri 9 cittadini italiani, 5 marittimi, parte dei membri dell’equipaggio, tra cui il comandante Umberto Vitelli, e 4 militari della marina italiana, parte del NMP imbarcato. Vi è poi la questione della territorialità e della giurisdizione.
Secondo i dati recuperati dal GPS della petroliera italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l'Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta “zona contigua”.
Il diritto marittimo internazionale considera “zona contigua” il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.
Secondo la legge italiana ed i suoi protocolli extraterritoriali, in accordo con le risoluzioni dell'Onu che regolano la lotta alla pirateria internazionale, i marò a bordo della Enrica Lexie devono essere considerati personale militare in servizio su territorio italiano – la petroliera batteva bandiera italiana – e dovrebbero godere quindi dell'immunità giurisdizionale nei confronti di altri Stati.
La legge indiana dice invece che qualsiasi crimine commesso contro un cittadino indiano su una nave indiana – come la St. Antony – deve essere giudicato in territorio indiano, anche qualora gli accusati si fossero trovati in acque internazionali. Vedremo cosa deciderà l’Alta Corte del Kerala.
Alcune considerazioni occorrono comunque.
La Convenzione tra Ministero della difesa e Cofintarma per l’utilizzo dei Nuclei Militari di Protezione, al punto 2.1 questo servizio viene fornito “per dare completezza alle azioni di sorveglianza condotte in mare dalle navi militari”.
Prima considerazione da fare: Poiché esiste già un servizio di sorveglianza militare in mare effettuato dalla Marina Militare a protezione dei trasporti marittimi in quelle zone, in questo specifico caso era necessario l’NMP ?.
Sempre al punto 2.1, poco oltre la Convenzione stabilisce che il Ministero della Difesa “…si rende disponibile a fornire all’armatore richiedente, subordinatamente alla disponibilità, un idoneo contingente di personale…..”
Seconda considerazione: Il personale per l’NMP impiegato era disponibile oppure, per espletare il servizio di protezione all’armatore napoletano, è stato sottratto ad altri eventuali compiti? In altre parole questo personale non poteva essere impiegato diversamente?
Al punto  4.5 la Convenzione recita: “ Il comandante del NMP informerà il Comandante della nave nel caso di feriti o naufraghi a seguito di conflitto a fuoco al fine di mettere in atto le opportune azioni di soccorso”. E poco oltre al punto 5.1 comma 2 recita: “Il Comandante della nave non è responsabile delle scelte inerenti le operazioni compiute nel respingimento di un attacco dei pirati”.
Terza considerazione: Visto quanto sopra, il  Comandante del NMP ha informato il Comandante della nave dello scontro avvenuto e delle due morti causate? E se il Comandante della nave, rientra in porto e consegna i due marò alle autorità indiane, significa forse che effettivamente le cose sono andate come sostengono le autorità indiane? Ed infine a che pro sono stati versati alle famiglie dei due pescatori deceduti circa trecentomila euro cadauna per convincerle a ritirare la denuncia?
Non può apparire questo come una ammissione di colpa?
Infine occorre ribadire che in situazioni simili non può essere lasciato nelle mani dell’armatore (che ovviamente antepone il profitto e il mantenere ottimi rapporti commerciali con la controparte ) la facoltà di decidere le azioni della nave quanto questa è sotto tutela militare della Marina, ma soprattutto quando è in corso un evento militare.
Tutto è molto confuso; la verità non è ancora stata acclarata! Certo è che se i due maro sono innocenti perché non hanno commesso il fatto allora il Governo Italiano sta dimostrando una debolezza internazionale che non ha senso. Se al contrario, è stato davvero un incidente allora sarebbe più opportuno dire apertamente come sono andate le cose. Non vorrei mai pensare che quanto accaduto sia stato deliberatamente e consapevolmente causato.
La verità la conoscono solo i presenti, certo è che di confusione se ne sta facendo tanta e soprattutto a danno dei due prigionieri.


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