Ho
letto con molta attenzione e per intero le venticinque pagine dell’Agenda Monti
e pur trovando un istintivo impulso a scrivere immediatamente la mia personale
avversità a quanto in essa contenuto, mi sono promesso di provare a meditarla
ed a cercare di capire il perché dei miei motivi di discordanza in modo da
poterli serenamente trasferire in queste righe da condividere con quanti
avranno la perseveranza di leggerle, criticarle e emendarle con suggerimenti.
L’Agenda Monti esordisce con alcuni concetti dati come assodati, ma per nulla
convincenti.
Si
comincia pontificando che la “la crisi
ha impresso al processo di integrazione europea una accelerazione che sarebbe
stato difficile immaginare solo pochi anni fa”. E più avanti si sostiene che l’Italia deve
svolgere un ruolo non secondario nei nuovi assetti che devono rendere l’Unione
Europea capace di perseguire “la
crescita economica e lo sviluppo sociale del continente secondo il modello
dell’economia sociale di mercato”.
Questo
modo di spiegare le cose è tendenzioso e fa da presupposto non dimostrato al fine che si vuole raggiungere. In altri
termini Monti descrive i sintomi di una malattia tutta da dimostrare ma di cui
il medico ha già stabilito la cura. E questo lo si è visto anche da un anno di
gestione del governo tecnico. Se ad un malato applichi una cura secondo una
malattia che pensi egli abbia ed il malato non guarisce anzi, le sue condizioni
peggiorano, può significare solo due cose: O la malattia diagnosticata non è
corretta o non è corretta la cura applicata. E’ tutto da dimostrare, infatti,
che sia la crisi la “causa” di una accelerazione del processo di
integrazione europea. Al contrario le crisi nascono quasi sempre da shock
causati da eventi particolari o da fatti provocati ad arte oppure generati da
incapacità politiche in cui il potere finanziario, si sostituisce a quello
democraticamente eletto per fare in modo che vengano applicate politiche di
privatizzazione e di tagli alla spesa pubblica ed ai salari, il tutto senza il
benché minimo consenso popolare. Quindi, al contrario di quanto sostiene il
professor Monti, la crisi accelera semmai un processo di “disgregazione” e di diseguaglianze tra gli Stati Europei. E
le misure adottate in simili situazioni, come ben dimostra Naomi Klein nel suo
saggio “Shock Economy”, portano sempre aumento della disoccupazione; impoverimento della
popolazione tagli indiscriminati allo stato sociale e privatizzazioni. Ed è
quello che sta succedendo in Europa ed in Italia.
L’Economia
Sociale di Mercato (ESM) è una teoria economica si propone di armonizzare
libertà di mercato e giustizia sociale.
Questa teoria in effetti riconosce all’individuo, alla libertà di impresa, alla
proprietà privata ed al mercato la capacità di autoregolamentarsi. E demanda
allo Stato la mera funzione assistenzialistica di intervenire laddove il
mercato fallisca la propria funzione sociale. In altre parole viene esaltata la
funzione sociale dell’impresa con una fiducia eccessive nella capacità del
mercato di regolamentarsi e di creare giustizia ed equità sociale. In questo
rapporto lo stato non deve intromettersi e deve limitarsi ad fare da garante e
ad intervenire quando l’impresa privata non è in grado di svolgere questo
ruolo. Purtroppo la storia infinite volte ha dimostrato esattamente il
contrario e cioè che impresa e mercato tendono a creare utili per pochi ponendo
gli impatti negativi della produzione in carico ai molti. E’ quello che il
governo dei tecnici ha cerato di fare con la strategia seguita per l’ILVA a
Taranto.
In realtà
la crisi attuale si intreccia ed aggrava altre forme di crisi già esistenti che
nascono nel 2007 con la crisi economica e finanziaria negli Stati Uniti e che
in Europa si è manifestata come crisi del “debito pubblico”. L’altra grave
crisi in atto è data dal lento ed inesorabile calo di egemonia degli USA.
Terza, ma non meno grave presenza di crisi, il raggiunto limite di crescita
ecologica. Questa singolare compresenza di eventi “shock”, mai verificatasi
precedentemente pone la popolazione mondiale di fronte ad un progressivo
peggioramento delle condizioni di vita. Nuova e più ampia povertà,
disoccupazione e allungamento della vita lavorativa, salari più bassi e
distruzione dei servizi sociali. La crisi di egemonia degli Stati Uniti spinge
ad una irresistibile tentazione di utilizzo della guerra come mezzo per uscire,
mentre la crisi ecologica ci pone di fronte alla impellente necessità di
cambiare drasticamente il nostro modo di produrre, consumare e vivere.
Per
uscire da questa situazione non serve l’agenda Monti che propone ancora misure
tese alla crescita economica o improntate alla subalternità al sistema
finanziario. Occorrono invece misure coraggiosamente alternative. Occorre invertire
la rotta. Basta con il “neoliberismo” , basta con le politiche di austerity.
Basta con una politica economica che sta pericolosamente accentuando le
differenze sociali. Questa cura da cavallo sta in realtà uccidendo il cavallo!
Monti continua a “lisciare il pelo” ai mercati finanziari invece di fargli il
“contropelo”. I mercati finanziari continuano indisturbati le loro
speculazioni. Nessun freno è stato messo ai “derivati” ai megacompensi dei top
manager o alle speculazioni delle transazioni finanziarie. Il debito pubblico
sta crescendo non perché si spende troppo, ma perché si cresce poco e male. Ed
il Fiscal Compact, e cioè il pareggio di bilancio deciso a livello europeo
ed inserito nella Costituzione dei
singoli paesi, renderà, in un prossimo futuro, ancora più gravi le condizioni
di crisi. Oggi tutto il dibattito politico ruota sul “pro Monti” o “contro
Monti”. Manca totalmente una discussione profonda sul modello di sviluppo. Si
vuole produrre i SUV di Marchionne o gli autobus di IRIBUS. Vogliamo il Ponte
sullo stretto oppure le piccole opere; i pannelli solari o il carbone. Vogliamo
i treni per i pendolari o i trafori nelle Alpi. Occorre il superamento del
paradigma neoliberista che ha generato la crisi e ci ha portato alla
recessione. Abbiamo bisogno di una economia diversa fondata sulla qualità
sociale, i diritti, i saperi. Il
neoliberismo e le politiche di austerity hanno fallito. Monti ha fallito!
Serve un
modello di sviluppo basato sulla sostenibilità sociale ed ambientale; diritti
di cittadinanza e del lavoro; sulla conoscenza come chiave di volta di un sistema capace di far
crescere ricerca qualità e innovazione. Ed infine, ma non per importanza, serve una redistribuzione della ricchezza dal
10% delle persone più agiate al 90% delle
persone sulle quali la crisi si è accanita. In ultima analisi le fette della
“torta” vanno ridimensionate e rese più eque.
In parole
povere bisogna porre le basi per la Società della Decrescita. Abbandonare
l’obbligo di consumo sempre crescente di territorio, energia e merci. Centro
propulsivo di questo nuovo concetto sarà la “rete” ; la possibilità cioè di accesso immediato e
pubblico all’informazione libera che sottratta alle logiche del mercato viene
ad essere tutelata e finanziata con l’intervento pubblico e controllata dai
cittadini.
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