martedì 16 ottobre 2012

Land grabbing – Le nuove frontiere dello sfruttamento

 

In Madagascar l’Azienda coreana DAEWOO, ha stretto un patto con il governo locale che prevede la cessione di 1,3 milioni di ettari di territorio coltivabile per 99 anni ed in cambio l’azienda si impegna ad assumere come lavoranti i contadini locali. Le terre oggetto dell’accordo sono in gran parte foreste che verranno abbattute e rese territorio coltivabile.

I prodotti delle coltivazioni, prevalentemente mais ed olio di palma, saranno inviati in Corea dove si procederà all’estrazione di “biocarburanti”. Quindi i contadini del Madagascar vengono espropriati delle terre. Milioni di ettari di foreste vengono distrutte per far posto a monoculture di mais e palme con evidenti ed irrecuperabili danni al sistema climatico, alla biodiversità ed incrementando ancor più la povertà e carenza di cibo nel mondo. Quale la logica che ispira questo? Semplice: Chi ha le risorse, non ha soldi; chi ha i soldi compra le risorse di chi non ha soldi. Quindi chi ha i soldi continua a far soldi con le risorse di chi non ha soldi. La Corea del sud è il terzo paese  al mondo per consumo di mais ed in questo modo con costi bassissimi avrebbe ridotto le importazioni dall’estero. Inoltre le piantagioni di palma da olio per la produzione di biocarburanti, avrebbero ridotto drasticamente la dipendenza da Stati Uniti ed Indonesia. Alla Daewoo tutto questo ben di dio sarebbe costato solo 6.700 milioni di dollari in venti anni per costruire un porto (per le esportazioni dei prodotti in Corea) ed una scuola. Questo assurdo progetto del 2008 per fortuna si è al momento arenato, ma ha attirato l’attenzione su quanto sta succedendo nel mondo soprattutto nei paesi poveri dell’Africa e non solo. La produzione di bio-etanolo, biodiesel comporta uno sfruttamento non alimentare  del terreno sottraendo in tal modo spazi vitali alle produzioni alimentari con effetti catastrofici sulla sicurezza alimentare. Sarebbero tra i 50 e gli 80 milioni gli ettari di terra oggetto di compravendita, due terzi circa dei quali ubicati in Africa. La terra relegata a mera “merce”  è stata privata della sua importanza sociale, culturale, e alimentare e ciò continua a causare distruzione di ecosistemi, crescita del prezzo dei prodotti alimentari,  espropri, disoccupazione e spostamento di intere popolazioni.

Le terre coltivabili sono considerate come una nuova opportunità per fare profitto a basso costo e questo viene mascherato con la crescente richiesta di produrre energia da combustibili non fossili e dalla necessità di  porre freno ai cambiamenti climatici dovuti alle emissioni di anidride carbonica.

I forti capitali a disposizione per questo nuovo business, servono per “persuadere” i governi locali circa la possibilità di attuare cambiamenti legislativi concernenti le proprietà delle terre. Chi si muove dietro queste nuove speculazioni? I soliti noti! Da una parte vi sono i paesi non autosufficienti  dal punto di vista alimentare come per esempio la Cina con una capacità di 1.800 miliardi di dollari in valute estere e gli Stati Arabi del Golfo con pochissima terra ed acqua a disposizione ma ingenti risorse economiche generate dal petrolio. Oppure la Corea che dipende per il 90% del suo fabbisogno dalle importazioni alimentari e anche il Giappone con dipendenza per il 60%. O l’India che consuma circa undici milioni di tonnellate di olio combustibile. Paesi che hanno fisiologica necessita di importare o produrre fuori dal proprio territorio. A questi si aggiungono poi le società private che son da sempre dedite allo sfruttamento ed al profitto speculativo. Come, tre le altre, Deutsche Bank e Goldman & Sachs che hanno acquisito totalmente l’industria cinese della carne. La Morgan Stanley che ha acquistato 40.000 ettari di terreno in Ucraina; oppure la russa Renaissance Capital che ha acquisito 300.000 ettari sempre in Ucraina. La svedese Black Earth Farming che ha acquistato 331.000 ettari in Russia o l’altra svedese Alpcot- Agro che ne ha comprato 128.000. O per finire la Landkom che ne ha presi 100.000 in Ucraina.

Enormi estensioni di terreno concentrate nelle mani di pochissime multinazionali; dedicati a monoculture con irreversibili impatti sulla biodiversità; l’uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti chimici che sterilizzano i suoli; un intensivo uso delle risorse idriche già scarse. Tutto contribuisce ad un bilancio che depone a netto sfavore dei “biocombustibili” come amici del clima e dell’ambiente.

A questo si aggiunga che milioni di ettari di terreno vengono sottratti alla piccola produzione locale. Solo nel 2009, in Tanzania, oltre 3000 piccoli contadini hanno subito l’allontanamento forzato dalle proprie terre per favorire gli investimenti stranieri. Oltre alla perdita di proprietà della terra, la corsa alla produzione di biocarburanti comporta un irragionevole aumento dei prezzi. Per esempio la richiesta di mais negli ultimi dieci anni è cresciuta del 70% grazie proprio all’impiego nella produzione di biocombustibili con conseguente aumento del prezzo del prodotto che si è ripercosso negativamente sulle necessità alimentari delle popolazioni. L’italiana ENI per esempio ha concluso un accordo in Congo per l’utilizzo di 70.000 ettari di terreno da adibire alla produzione di olio di palma per uso energetico incurante del fatto che causa così l’aumento del prezzo della materia prima utilizzata a fini alimentari dalla popolazione locale che già vive al 50% sotto la soglia di povertà.

La banca mondiale dice che entro il 2020 in Europa l’importazione di biocarburanti” dovrà raggiungere il 53% delle proprie necessità. Questo quanto già oggi ben 43 imprese europee investono in Africa di cui 11 imprese inglesi, 7 italiane, 6 tedesche  e 6 francesi. Solo le undici aziende  britanniche occupano 1,6 milioni di ettari in territori compresi tra Senegal e Mozambico. Pertanto succede che negli ultimi anni si è diffusa l’abitudine da parte di molti speculatori di acquistare ingenti quantità di terreni agricoli che vengono tenuti inutilizzati in previsione di futura vendita. Invece di mettere in discussione i livelli di consumo energetico e di esperire possibilità di ottimizzazioni e di riduzione degli stessi, gli stati ed in special modo i paesi occidentali continuano ad attuare politiche che incentivano i consumi da biocarburanti ed a sfruttare con monocolture di olio di palma e jatropha milioni di ettari di terreni in varie parti del mondo. Questi prodotti destinati all’esportazione  non recano alcun beneficio alle popolazioni locali neppure in termini di posti di lavoro e sempre di più si connotano come crimini contro l’umanità. Compromettono l’accesso alla terra ed all’acqua per contadini, allevatori e piccoli pescatori privando intere famiglie di qualunque fonte di sostentamento violando di fatto il diritto al cibo sancito dalla Carta fondamentale dei diritti dell’uomo. E così dopo aver depredato i paesi più poveri delle risorse del suolo con decenni di colonialismo; dopo aver loro sottratto anche le ricchezze del sottosuolo con l’odierno sfruttamento delle loro risorse, siamo giunti alla fine ad espropriarli del loro bene ultimo e più prezioso: la terra. Il nostro modello di sviluppo non è più sostenibile, tantomeno è proponibile come esempio per gli altri paesi del terzo e quarto mondo. Occorre cambiare il nostro paradigma di sviluppo se vogliamo dare un futuro a questa Terra!


1 commento:

  1. Dice un antico proverbio africano:
    LA TERRA APPARTIENE AI MORTI PER CONSERVARLI NELLA MEMORIA.
    AI VIVI PERCHE' POSSANO NUTRIRSI.
    A CHI DEVE ANCORA NASCERE PERCHE' E' A QUESTI CHE DOBBIAMO LASCIARLA.

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