In Madagascar l’Azienda coreana DAEWOO, ha stretto un patto
con il governo locale che prevede la cessione di 1,3 milioni di ettari di
territorio coltivabile per 99 anni ed in cambio l’azienda si impegna ad
assumere come lavoranti i contadini locali. Le terre oggetto dell’accordo sono
in gran parte foreste che verranno abbattute e rese territorio coltivabile.
I prodotti delle coltivazioni, prevalentemente mais ed olio
di palma, saranno inviati in Corea dove si procederà all’estrazione di
“biocarburanti”. Quindi i contadini del Madagascar vengono espropriati delle
terre. Milioni di ettari di foreste vengono distrutte per far posto a
monoculture di mais e palme con evidenti ed irrecuperabili danni al sistema
climatico, alla biodiversità ed incrementando ancor più la povertà e carenza di
cibo nel mondo. Quale la logica che ispira questo? Semplice: Chi ha le risorse, non ha soldi; chi ha i
soldi compra le risorse di chi non ha soldi. Quindi chi ha i soldi continua a far soldi con le risorse di chi non ha
soldi. La Corea del sud è il terzo paese
al mondo per consumo di mais ed in questo modo con costi bassissimi
avrebbe ridotto le importazioni dall’estero. Inoltre le piantagioni di palma da
olio per la produzione di biocarburanti, avrebbero ridotto drasticamente la
dipendenza da Stati Uniti ed Indonesia. Alla Daewoo tutto questo ben di dio
sarebbe costato solo 6.700 milioni di dollari in venti anni per costruire un
porto (per le esportazioni dei prodotti in Corea) ed una scuola. Questo assurdo
progetto del 2008 per fortuna si è al momento arenato, ma ha attirato
l’attenzione su quanto sta succedendo nel mondo soprattutto nei paesi poveri
dell’Africa e non solo. La produzione di bio-etanolo, biodiesel comporta uno sfruttamento
non alimentare del terreno sottraendo in
tal modo spazi vitali alle produzioni alimentari con effetti catastrofici sulla
sicurezza alimentare. Sarebbero tra i 50 e gli 80 milioni gli ettari di terra
oggetto di compravendita, due terzi circa dei quali ubicati in Africa. La terra
relegata a mera “merce” è stata privata
della sua importanza sociale, culturale, e alimentare e ciò continua a causare
distruzione di ecosistemi, crescita del prezzo dei prodotti alimentari, espropri, disoccupazione e spostamento di
intere popolazioni.
Le terre coltivabili sono considerate come una nuova
opportunità per fare profitto a basso costo e questo viene mascherato con la
crescente richiesta di produrre energia da combustibili non fossili e dalla
necessità di porre freno ai cambiamenti
climatici dovuti alle emissioni di anidride carbonica.
I forti capitali a disposizione per questo nuovo business,
servono per “persuadere” i governi locali circa la possibilità di attuare
cambiamenti legislativi concernenti le proprietà delle terre. Chi si muove
dietro queste nuove speculazioni? I soliti noti! Da una parte vi sono i paesi
non autosufficienti dal punto di vista
alimentare come per esempio la Cina con una capacità di 1.800 miliardi di
dollari in valute estere e gli Stati Arabi del Golfo con pochissima terra ed
acqua a disposizione ma ingenti risorse economiche generate dal petrolio.
Oppure la Corea che dipende per il 90% del suo fabbisogno dalle importazioni
alimentari e anche il Giappone con dipendenza per il 60%. O l’India che consuma
circa undici milioni di tonnellate di olio combustibile. Paesi che hanno
fisiologica necessita di importare o produrre fuori dal proprio territorio. A
questi si aggiungono poi le società private che son da sempre dedite allo
sfruttamento ed al profitto speculativo. Come, tre le altre, Deutsche Bank e
Goldman & Sachs che hanno acquisito totalmente l’industria cinese della carne.
La Morgan Stanley che ha acquistato 40.000 ettari di terreno in Ucraina; oppure
la russa Renaissance Capital che ha acquisito 300.000 ettari sempre in Ucraina.
La svedese Black Earth Farming che ha acquistato 331.000 ettari in Russia o
l’altra svedese Alpcot- Agro che ne ha comprato 128.000. O per finire la Landkom
che ne ha presi 100.000 in Ucraina.
Enormi estensioni di terreno concentrate nelle mani di
pochissime multinazionali; dedicati a monoculture con irreversibili impatti
sulla biodiversità; l’uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti chimici che
sterilizzano i suoli; un intensivo uso delle risorse idriche già scarse. Tutto
contribuisce ad un bilancio che depone a netto sfavore dei “biocombustibili”
come amici del clima e dell’ambiente.
A questo si aggiunga che milioni di ettari di terreno
vengono sottratti alla piccola produzione locale. Solo nel 2009, in Tanzania,
oltre 3000 piccoli contadini hanno subito l’allontanamento forzato dalle
proprie terre per favorire gli investimenti stranieri. Oltre alla perdita di
proprietà della terra, la corsa alla produzione di biocarburanti comporta un
irragionevole aumento dei prezzi. Per esempio la richiesta di mais negli ultimi
dieci anni è cresciuta del 70% grazie proprio all’impiego nella produzione di
biocombustibili con conseguente aumento del prezzo del prodotto che si è
ripercosso negativamente sulle necessità alimentari delle popolazioni.
L’italiana ENI per esempio ha concluso un accordo in Congo per l’utilizzo di
70.000 ettari di terreno da adibire alla produzione di olio di palma per uso
energetico incurante del fatto che causa così l’aumento del prezzo della
materia prima utilizzata a fini alimentari dalla popolazione locale che già
vive al 50% sotto la soglia di povertà.
La banca mondiale dice che entro il 2020 in Europa
l’importazione di biocarburanti” dovrà raggiungere il 53% delle proprie
necessità. Questo quanto già oggi ben 43 imprese europee investono in Africa di
cui 11 imprese inglesi, 7 italiane, 6 tedesche
e 6 francesi. Solo le undici aziende
britanniche occupano 1,6 milioni di ettari in territori compresi tra
Senegal e Mozambico. Pertanto succede che negli ultimi anni si è diffusa
l’abitudine da parte di molti speculatori di acquistare ingenti quantità di
terreni agricoli che vengono tenuti inutilizzati in previsione di futura
vendita. Invece di mettere in discussione i livelli di consumo energetico e di
esperire possibilità di ottimizzazioni e di riduzione degli stessi, gli stati
ed in special modo i paesi occidentali continuano ad attuare politiche che
incentivano i consumi da biocarburanti ed a sfruttare con monocolture di olio
di palma e jatropha milioni di ettari di terreni in varie parti del mondo.
Questi prodotti destinati all’esportazione
non recano alcun beneficio alle popolazioni locali neppure in termini di
posti di lavoro e sempre di più si connotano come crimini contro l’umanità.
Compromettono l’accesso alla terra ed all’acqua per contadini, allevatori e
piccoli pescatori privando intere famiglie di qualunque fonte di sostentamento
violando di fatto il diritto al cibo sancito dalla Carta fondamentale dei
diritti dell’uomo. E così dopo aver depredato i paesi più poveri delle risorse
del suolo con decenni di colonialismo; dopo aver loro sottratto anche le
ricchezze del sottosuolo con l’odierno sfruttamento delle loro risorse, siamo
giunti alla fine ad espropriarli del loro bene ultimo e più prezioso: la terra.
Il nostro modello di sviluppo non è più sostenibile, tantomeno è proponibile
come esempio per gli altri paesi del terzo e quarto mondo. Occorre cambiare il
nostro paradigma di sviluppo se vogliamo dare un futuro a questa Terra!
Dice un antico proverbio africano:
RispondiEliminaLA TERRA APPARTIENE AI MORTI PER CONSERVARLI NELLA MEMORIA.
AI VIVI PERCHE' POSSANO NUTRIRSI.
A CHI DEVE ANCORA NASCERE PERCHE' E' A QUESTI CHE DOBBIAMO LASCIARLA.